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Il vero bear market emergente
Non è un periodo facile per i mercati emergenti. Ciò vale per il complesso tecno-industriale delle nazioni di area confuciana, trascinate al ribasso dai rischi sempre più consistenti di guerra commerciale, e per il resto di questo variegato insieme, spesso piagato da instabilità politica e da annosi problemi di mancato decollo economico. A questo riguardo spesso gli economisti parlano della cosiddetta middle income trap, ossia il fenomeno per cui varie nazioni riescono ad avviare un significativo percorso di sviluppo economico che poi a un certo punto si arresta, appunto quando il Pil pro capite raggiunge un livello intermedio, impedendo il decollo verso il club dei paesi ricchi.
A oggi al di fuori dell'occidente, includendo in esso anche l'Europa centro-orientale, e delle nazioni petrolifere del Golfo, solamente le solite, notorie cinque nazioni asiatiche ricche non sono rimaste impelagate in questa situazione. Se osserviamo alcuni dati sull'andamento aggregato dei mercati azionari emergenti, ciò che appare evidente è un fenomeno abbastanza curioso: per tutta la prima parte degli anni 2000 gli investitori ritenevano che tutto ciò che aveva l'etichetta di emergente fosse sulla buona strada per pareggiare rapidamente le nazioni più avanzate, mentre oggi a prevalere sembra un quadro di sfiducia soprattutto sulle prospettive a lungo termine.
Da quali elementi si può arrivare a una simile affermazione? Andiamo a vedere l'andamento di utili e multipli di questa asset class: nel 2017 l'Eps dell’Msci Emerging Markets è cresciuto in valuta locale di oltre il 24%, mentre per quest'anno si dovrebbe registrare +15-16%. In Europa, invece, forse si riuscirà ad arrivare nella parte alta della singola cifra, mentre in Giappone ci si dovrà accontentare di +4-5%. Solo gli Usa dovrebbero registrare aumenti degli utili robusti: visti gli ultimi dati, non ci sarebbe da sorprendersi se l'Eps dell’S&P 500 venisse su in questo 2018 del 20%.
Considerando il derating che la maggior parte dei listini al di fuori di quelli più sviluppati ha subito nel corso dell'anno, gli investitori dovrebbero affollarsi a mettere i lori soldi su nazioni come Sud Africa, Russia, Indonesia, Messico, Cile e altre. È da notare che tutti i nomi citati costituiscono economie dotate di grandi risorse naturali, ma neppure la ripresa dei corsi delle commodity, legata a un'espansione globale ancora in corso, riesce a fare più di tanto per risollevare le sorti delle borse locali.
Certamente l'azione della Fed, con il rialzo dei tassi, non aiuta, ma il fenomeno viene da lontano, come si può evincere dal P/E Cape, ossia il rapporto fra prezzo di un'azione o di un indice e la media dei profitti dei 10 anni precedenti. Nel caso degli emergenti questo indicatore ha visto il proprio picco nel tardo 2007, quando raggiunse la soglia di 25, al pari degli Usa. Questo valore anche per gli Stati Uniti rappresentava il massimo storico, a parte i primi mesi del 2000. Dopodiché vi è stato per il P/E Cape emergente un bear market interrotto solo da qualche fase di ripresa nel 2010-2011, che è diventato evidente a partire dal 2013.
Da questo punto di vista persino l'Europa ha fatto meglio, nonostante una crescita dei profitti stitica: in pratica le aziende di questi paesi hanno dovuto fornire agli investitori un'intensità di profitti molto maggiore per ottenere un punto percentuale di crescita delle quotazioni. Questo derating è proseguito fino a metà 2016 quando il P/E Cape di questa asset class scese intorno a 8, la soglia più bassa dalla crisi del ‘97-‘98. Da allora la fiducia sembrava tornata, salvo avere visto una nuova discesa in queste ultime settimane.
Non solo dunque corsi sono in calo, ma anche i multipli di lungo periodo, in quello che da questo punto di vista appare come un bear market senza fine in corso da 11 anni. Ciò non significa che non si possa crescere anche all'interno di tale paradigma, diventa però tutto più difficile: per ottenere buoni capital gain diventa necessario mettere a segno per le aziende locali eccellenti aumenti dei risultati. Questo nonostante gli indubbi miglioramenti nella governance aziendale un po' in tutto il mondo.
Su tanti listini, in un'altra epoca star assolute, pesa il rischio di essere diventati vecchi prima di essere diventati ricchi.