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Euro e dollaro, pronti a nuove montagne russe
Abbiamo analizzato la peculiare situazione del cambio euro-dollaro, che sta attraversando in questo 2018 una fase di straordinaria calma rispetto a quanto sta succedendo a livello fondamentale. Avevamo anche evidenziato che difficilmente questa stagnazione continuerà, viste le tensioni che si stanno accumulando sui mercati e la volatilità storica tipica del Forex.
In questa terza e ultima parte della disamina ci concentriamo proprio sull'aspetto fondamentale, che, in effetti, è piuttosto coerente con le caratteristiche statistiche evidenziate. Infatti il 2018 si sta dimostrando un tipico anno di transizione, in cui la maggior parte del pianeta ha visto un rallentamento senza però sprofondare nella crisi. Al tempo stesso gli Stati Uniti sono praticamente l'unica economia rilevante che ha vissuto un'accelerazione economica.
Quest'ultimo fenomeno, però, non raccoglie comunque un eccesso di entusiasmi da parte degli investitori, perché l'accelerazione americana è stata generata da elementi abbastanza estemporanei con all'orizzonte ulteriori rialzi dei tassi da parte della Fed e un aumento del disavanzo pubblico che non potrà continuare all'infinito.
In questo caso, però, ciò che ci interessa non è tanto cercare di prevedere gli sviluppi futuri del ciclo economico, quanto sottolineare che lo stallo attuale costituisce un fragile equilibrio destinato a risolversi in una direzione o in un altra. Se ad esempio il Pil statunitense dovesse continuare a offrire un simile differenziale rispetto al resto del mondo, anche nel 2019, con una Fed che disporrebbe di ampio margine per alzare i tassi senza grandi conseguenze, probabilmente il biglietto verde continuerebbe a rafforzarsi con maggiore decisione rispetto a quest'anno.
Viceversa, se si tornasse a un paradigma come quello dell'anno passato, con una decelerazione in America e un'Europa invece in grado di stupire grazie alla propria crescita endogena, allora la moneta unica verosimilmente riprenderebbe a crescere come ha fatto negli ultimi mesi del 2017 e i primi del 2018.
Se al contrario si arrivasse a uno scenario di crisi dovuta all'instabilità italiana, anche in questo caso sarebbe il dollaro a rafforzarsi; lo stesso probabilmente accadrebbe in un quadro di disfacimento dei mercati emergenti. È francamente impossibile stabilire allo stato attuale come sarà il 2019, ma appare improbabile che con i focolai di tensione, sia positiva sia negativa, come quelli attualmente presenti nel sistema lo stallo attuale prosegua.
Infatti la relativa calma nelle quotazioni non è generata da mancanza di avvenimenti, quanto dalla presenza di troppi elementi fra loro contraddittori. Tutta questa tensione offre agli investitori l'occasione perfetta per entrare lunghi di volatilità, sia in termini direzionali, sia per ragioni di hedging delle proprie posizioni. Infatti, a differenza del mercato azionario, dove la volatilità è essenzialmente sinonimo di cali (a parte qualche caso di mercato rialzista in piena bolla giunto in prossimità della propria conclusione) nell'ambito del cambio euro-dollaro vi sono sempre stati trend piuttosto lunghi e ben definiti in una direzione o in un'altra. Questi permettono di scommettere sulla direzionalità tramite l'acquisto di volatilità implicita nelle fasi di relativa bonaccia come quella attuale.
Se poi Mario Draghi, negli ultimi mesi che gli rimangono alla Bce, prendesse, come si comincia a vociferare, la decisione di fare partire un programma simile all'Operation Twist della Fed nel 2011, in cui venivano venduti bond a breve acquistando scadenze più lunghe, l'effetto verrebbe ulteriormente amplificato.