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Un margine ristretto per il debito pubblico italiano
Nel momento in cui interromperà l’espansione del bilancio a dicembre 2018, la Bce avrà comprato circa 366 miliardi di euro di titoli di Stato italiani, pari al 17% del debito pubblico totale dell’Italia.
Il reinvestimento in titoli in scadenza sarà comunque considerevole. Dato il profilo di maturity e la ripartizione sui diversi Paesi del portafoglio della Bce, ci si aspetta un reinvestimento di 30 miliardi di euro in obbligazioni italiane.
Il fatto che ci siano attualmente flussi netti in uscita dall’Italia verso un’altra parte della zona euro segnala in ogni caso che l’attrattiva degli investitori stranieri per l’esposizione al rischio Italia in generale rimane debole, se comparata ai livelli pre-2011. Infatti, quando gli investitori stranieri vendono Titoli di Stato italiani alle autorità monetarie, potrebbero utilizzare il ricavato per acquistare obbligazioni societarie italiane, o per fare un investimento azionario su un’attività locale.
Ci sono diversi segnali della preoccupazione da parte degli investitori sulla sostenibilità del debito italiano, specialmente in un contesto nel quale la Bce sta riducendo gradualmente le misure di stimolo.
Il team di Tcw non si aspetta che l’Italia perda lo status di investment grade nel prossimo anno.Tuttavia, il segnale dato dalle ultime elezioni è chiaro e gli investitori non lo dimenticheranno facilmente: al Governo ora c’è una coalizione con un atteggiamento critico verso le riforme e l’Eurozona.
La crescita del Paese continua ad essere bassa, quindi è necessario uno sforzo sistematico per mantenere stabile il rapporto debito/Pil. Dal momento che l’Italia spende già il 3,5% del Pil per il pagamento degli interessi, per mantenere il deficit complessivo a livelli accettabili occorre un avanzo primario stabile pari almeno all’1,5% del Pil.
Gli investitori ora scrutineranno con attenzione l’aggiornamento del Def e i parametri sottostanti. Ad esempio, un ottimismo eccessivo nei confronti della crescita (e di conseguenza un’attesa sovrastimata dei ricavi) sarebbe controproducente. Le stime sul Pil 2018 e 2019 dovrebbero essere riviste al ribasso dello 0,2-0,3% (all’1-1,2% del Pil reale per il 2018/2019) per tenere conto della perdita di slancio dell’attività iniziata nel primo trimestre di quest’anno. Anche i costi di finanziamento più elevati dovrebbero essere presi in considerazione, soprattutto alla luce dei piani della Bce di terminare l’espansione del bilancio entro la fine dell’anno.
Un deficit al di sotto del 2% del Pil sarebbe stato molto apprezzato dal mercato, ma non avrebbe lasciato quasi nessun margine per l’ambizioso piano di stimoli promesso durante la campagna elettorale.
Non è comunque da escludersi una futura adozione graduale delle misure di stimolo,concentrata sulla riduzione della povertà e sulla creazione di posti di lavoro. Secondo Twc è un approccio interessante, che sarebbe probabilmente sufficiente a impedire che l’Italia perda lo status di investment grade nel prossimo anno e potrebbe persino essere positivo per la crescita.
Secondo il team sono più preoccupanti invece la perdita di slancio nelle riforme economiche e lo smantellamento degli sforzi precedenti, come la riforma del mercato del lavoro e la riforma delle pensioni. Questo trend potrebbe avere un forte impatto sul giudizio delle agenzie di rating in merito all’appartenenza dell’Italia all’universo Ig.
La Lega e il Movimento 5 Stelle condividono un approccio populista, ma hanno poco in comune per quanto riguarda le priorità politiche. È possibile che il mercato sia rassicurato dalla prospettiva che il disaccordo porterà all’inazione e quindi al mantenimento dello status quo dal punto di vista fiscale. Il rischio d’altra parte è che questa fragile alleanza possa sfaldarsi e riportare gli italiani alle elezioni, ritardando ulteriormente riforme economiche di cui c’è molto bisogno.