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Economia, il Nobel agli studi sulla sostenibilità
Quest’anno il Nobel per l’Economia è stato assegnato a Paul Romer e William D. Nordhaus per i loro studi sull’interazione tra innovazione, clima, dinamiche demografiche e sviluppo economico.
Il merito di William D. Nordhaus, docente all’Università di Yale, è stato quello di integrare il clima nei modelli macroeconomici e studiare la forma in cui l’attività economica influisce o viene influenzata dalle condizioni climatiche. Nordhaus, in un lavoro svolto insieme al Premio Nobel per l’Economia James Tobin, stabilì il concetto di economia sostenibile, affermando che una società può mantenersi in equilibrio con le risorse di cui dispone.
La sostenibilità consente a più generazioni di beneficiare degli effetti positivi derivanti dall’utilizzo delle medesime risorse. Gli studi di Nordhal si concentrano in particolare su attività come la pesca e l’agricoltura che, se non correttamente organizzate, possono andare incontro a gravi crisi a causa della mancata gestione corretta degli ecosistemi da cui dipendono.
Il cambiamento climatico è alla base del lavoro di Nordhaus. Lo studioso è stato il primo a mettere a punto un modello quantitativo che descrive nel dettaglio l’interazione tra attività economica e clima. I suoi modelli spiegano la relazione diretta che esiste tra attività economica e surriscaldamento globale.
Paul Rommer, professore della New York University’s Stern school of business, è il padre della teoria della crescita endogena, che spiega come la crescita economica non sia il risultato dell’azione di forze esterne al sistema economico ma di fattori interni. Per giungere a questa conclusione, Romer si è domandato quali sono i fattori che consentono al reddito pro-capite di crescere in scia allo sviluppo economico. Le sue conclusioni indicano che i fattori chiave sono il capitale umano, l’innovazione tecnologica e il sapere.
Affinchè una società si sviluppi necessita di accumulare capitale umano e know how tali da accedere alle innovazioni tecnologiche, anche nell’ipotesi in cui queste ultime non siano state sviluppate in loco. Quando arriva a questo punto di maturazione, la società può ambire a una crescita sostenibile e al miglioramento graduale del reddito e del livello di vita dei cittadini. Secondo Romer, le differenze tra paesi sviluppati e in via di sviluppo vanno ricercate proprio nelle distinte capacità di conoscere e incorporare l’innovazione tecnologica. Questo modello serve a spiegare perché i paesi asiatici facenti parte del gruppo delle ‘tigri asiatiche’ hanno ottenuto in soli 30 anni risultati che i paesi industrializzati hanno centrato in 150 anni di storia.
La teoria della crescita endogena spiega anche che l’innovazione e la conoscenza generano una serie di fattori positivi che tendono a diffondersi facilmente all’interno di una società mediante i servizi e i beni di consumo acquistati da persone e imprese. Il know how e i cambiamenti tecnologici hanno carattere cumulativo: quanta più innovazione e sapere si genera, tanto più aumenta la generazione di innovazione e know how.
Secondo Romer, un paese può anche non inventare nulla ma deve necessariamente agganciarsi alla tecnologia incorporata nei beni e servizi in circolazione. In un’economia di mercato, le autorità possono stimolare gli agenti economici ad accelerare il processo di innovazione/conoscenza attraverso misure fiscali ad hoc e l’approvazione di norme che tutelino patenti e brevetti che inglobano i risultati conseguiti.