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Small Cap, Usa ed Europa a confronto
Il mercato Usa non vive di solo Apple e, se si pone l’accento sui rendimenti, sono i titoli a bassa capitalizzazione di mercato a guidare le danze.L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca ha apportato sensibili benefici all’universo delle small cap, almeno fino a questo momento.
La riforma fiscale voluta dall’amministrazione Trump è stata fondamentale per ridurre il carico delle imposte sulle società più piccole, che attualmente pagano in media 600-800 punti base in meno di quelle ad elevata capitalizzazione.
Tuttavia, come in tutte le manovre governative, la presenza di fattori favorevoli viene bilanciata da rischi che possono potenzialmente azzerare i vantaggi. Nell’immediato, le piccole aziende sono quelle che hanno tratto i maggiori benefici dal taglio delle tasse, ma nel medio termine sono anche quelle che corrono i maggiori rischi nell’ipotesi in cui l’inflazione statunitense continui a lievitare nei prossimi mesi (con una conseguente riduzione dei margini di guadagno causata dall’incremento dei costi salariali e dall’aumento dei costi di approvvigionamento).
Il successo del segmento small cap si deve anche alla percezione (da parte degli operatori del mercato) che l’asset class sia più protetta dagli effetti delle tensioni commerciali internazionali.
Se si osserva l’andamento dei singoli settori, si arriva alla conclusione che l’energia, la salute e la tecnologia hanno dominato le performance dell’asset class negli ultimi anni (con rendimenti doppi rispetto a quelli registrati dall’indice delle small cap).
Nel caso del settore energy, l’impulso proveniente dalle quotazioni del petrolio ha consentito alle società a bassa capitalizzazione di incrementare il loro peso fino al 25,3% del Russelll 2000, seguito dal settore tecnologico con una fetta del 22,4%. Per quanto riguarda il contributo alla performance complessiva accumulata dall’indice, spicca quello dato dal settore healthcare con il 21,6% e in particolare quello del comparto biotecnologico con il 32,1%.
E in Europa?
I timori di un peggioramento delle tensioni commerciali globali hanno seriamente depresso il sentiment degli investitori in Europa. Sebbene non ci sia stato uno shock economico o un ulteriore deterioramento degli indicatori macroeconomici (gli indici PMI e IFO si sono stabilizzati e stanno segnalando una continuazione della crescita economica) da settembre gli investitori sono passati dai titoli growth a quelli a value e difensivi, a causa delle preoccupazioni circa l'impatto dell'aumento dei tassi di interesse a livello globale.
Questa rotazione settoriale ha permesso alle large cap di recuperare il terreno perduto rispetto alle small e mid-cap europee, che avevano superato le blue chip tra l'inizio del 2018 e la fine di agosto. Di conseguenza, alla fine di settembre, l'indice MSCI Europe ha registrato un guadagno dello 0,84% da inizio anno, simile all'aumento dello 0,75% dell'indice MSCI Europe Small Cap. La forte rotazione e i cali di mercato sono proseguiti in ottobre, con l'indice MSCI Europe Small Cap in calo del 10,64% a fronte di un calo del 7,73% per l'indice MSCI Europe (al 26 ottobre 2018). I titoli a piccola e media capitalizzazione sono più esposti all'economia europea, e questo maggiore carattere domestico offre un certo isolamento dalle preoccupazioni circa l'impatto dei dazi e della guerra commerciale. I loro fondamentali sottostanti rimangono interessanti e si prevede che gli utili cresceranno di oltre il 10% nei prossimi 12 mesi.
L’approccio all’asset class attraverso strumenti che consentono un’ampia diversificazione –fondi comuni ed Etf) sembra una strada obbligata perché il contributo alle performance è spesso frutto dei risultati ottenuti da ristretti gruppi di società appartenenti ai distinti settori (basti pensare a quello biotecnologico e alla presenza di ben 225 microcaps attive nel segmento e incapaci di produrre rendimenti).