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La speculazione molla il barile
Il taglio delle posizioni speculative sui future e l’annuncio di deroghe da parte del Governo Usa per consentire di evitare le sanzioni all’acquisto di petrolio iraniano sono alla base del calo del prezzo del greggio
Il calo del 20% del greggio rispetto ai massimi di ottobre ha spinto gli operatori del mercato a sostenere che uno dei fattori chiave per il sell-off è stata l’annuncio di deroghe da parte degli Stati Uniti per consentire ai paesi di aggirare le nuove sanzioni imposte sull’acquisto di petrolio iraniano. Tuttavia, il team di Ubp ritiene che questo crollo dei prezzi sia dovuto principalmente alla diminuzione delle posizioni speculative sui mercati dei future, aggravato da uno spostamento del fondamentale equilibrio tra domanda e offerta del mercato del greggio sottostante a partire dalla metà del 2017.
Negli ultimi mesi, la crescente produzione della Russia e del suo partner Opec (l’Arabia Saudita) non ha impedito che le quotazioni del petrolio raggiungessero nuovi massimi (in anticipo rispetto alle stime degli analisti che prevedevano uno scenario simile a novembre, data fissata per l’entrata in vigore delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti all’Iran). Da metà settembre, il barile di Brent ha accelerato del 20% fino a ridosso di quota 80 usd.
Nonostante i fattori fondamentali alla base di un aumento dei prezzi si siano indeboliti per gran parte del 2018 e anche il sostegno speculativo ai prezzi del greggio sia andato diminuendo, il rischio principale per il mercato del greggio nel 2019 è l’attuale situazione di eccesso di capacità.
Differentemente da quanto visto nell’ultimo decennio, infatti, l’Opec non è più in grado di compensare in modo significativo un qualsiasi shock inatteso dal lato dell’offerta – come un’interruzione della produzione da parte di un grande produttore (come ad esempio il Venezuela) – o una sorpresa al rialzo dal lato della domanda derivante, ad esempio, da un rinnovato stimolo cinese.
In uno scenario in cui domanda e offerta rimangono equilibrate ed è probabile che il posizionamento speculativo si indebolisca ulteriormente nei prossimi mesi, gli investitori dovrebbero aspettarsi una nuova stabilizzazione del prezzo del petrolio greggio nella fascia fra i 65 e i 70 dollari al barile, vicino ai livelli visti prima dell’annuncio della nuova imposizione delle sanzioni contro l’Iran, a maggio.
In questo contesto, la ripresa degli utili nel settore energetico, combinata con il calo di quasi il 9% dei titoli energetici mondiali da luglio, comporta che le azioni di questo settore scambiano a poco più di 1,5 volte il loro book value. Storicamente, le valutazioni al di sotto di questo livello hanno fornito un buon punto di ingresso per gli investitori.
All’interno del settore energetico globale, la preferenza del team è per le imprese energetiche integrate europee resta immutata. Avendo finora ottenuto risultati nettamente superiori a quelli del settore, dovrebbero continuare a farlo anche nel 2019. Nel terzo trimestre del 2018, queste società hanno fornito un flusso di cassa disponibile superiore al quadruplo della loro media storica decennale. Mentre il gruppo ha ottenuto risultati record, l’andamento dei titoli azionari è stato fortemente influenzato dalla debolezza dei prezzi del greggio sottostanti.
Anche con il calo di questi prezzi, Ubp si aspetta che nei prossimi anni le Big Oil europee continueranno a mettere a segno solidi flusso di cassa disponibili. Ciò, insieme all’attuale disciplina fiscale, consentirà all’aumento dei buyback e dei dividendi di guidare l’andamento dei corsi azionari.