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Un’Europa che continua a deludere
Finalmente un paio di giorni fa sono stati pubblicati i dati del Pil in Europa nel terzo trimestre. A livello congiunturale, cioè rispetto al secondo trimestre, la salita è stata +0,2% per le nazioni dell'Eurozona e +0,3% per l'intera Ue a 28. Se confrontiamo questi numeri con quelli del terzo trimestre del 2017, per quanto riguarda le economie della moneta unica l'aumento è stato dell’1,7%. Questo risultato è ovviamente molto parziale e inficiato da una particolare situazione nel comparto auto in Germania, che ha spinto il dato della prima economia del continente a un ribasso trimestre su trimestre dello 0,2%. Questo fatto non si verificava dal 2015 e all'epoca fu un evento isolato. In generale dunque è ancora presto per tirare conclusioni definitive, ma qualche spunto lo possiamo mettere a fuoco.
Innanzitutto nel suo complesso l'Europa viaggia rispetto al quasi boom di un anno fa a ritmi di crescita inferiori di un punto percentuale secco, ritornando così rapidamente a quello che è un livello più consono alla realtà del blocco dell'Ue. Nel frattempo, invece, su base annuale gli Usa hanno messo a segno un +3%. Quest'ultimo valore è ovviamente abbastanza drogato, in quanto siamo nel pieno dello stimolo fiscale voluto da Trump. Fra chiari di luna al Congresso e andamento naturale del ciclo è più probabile che l'anno prossimo si torni nel range +2,3-2,6%. A questo punto non si può fare a meno di notare un elemento: a differenza del 2016 e del 2017, quando l'America si trovava in uno stato di relativa calma piatta, mentre il Vecchio Continente stava finalmente vivendo una fase di accelerazione endogena, si è tornati allo scenario che vede comunque un sistematico scarto di crescita a favore degli Stati Uniti.
Specifichiamo che ciò dovrebbe avvenire anche con un ritorno alla normalità per la prima economia del mondo nel 2019. Ovviamente è possibile che in Europa scatti un nuovo periodo di forte attività, a livello di consumi e investimenti e che lo stimolo cinese, combinato con un euro relativamente debole e un petrolio in serio ribasso ma ancora a corsi decenti, favorisca un minimo le esportazioni. In verità però fenomenali driver di crescita non se ne vedono.
Se proprio vogliamo essere brutalmente onesti, i rischi paiono più concentrati verso l'avverarsi di nuove delusioni. Partiamo proprio dagli Usa: un bear market azionario, un deterioramento ulteriore dell'immobiliare, una forte crisi obbligazionaria con il downgrading di molti fallen angel e la crisi del colosso General Electric sono tutti scenari che, per quanto lungi dall'essere certi o anche maggioritariamente probabili, sono nell'alveo del molto possibile. Simili avvenimenti facilmente si ripercuoterebbero sull'Europa, in quanto la crisi americana che non è stata esportata al resto del mondo deve ancora vedersi.
Se poi contiamo i malanni endogeni dalle nostre parti, non è che ci sia tanto da stare tranquilli: l'Italia ormai è scesa a un tasso di crescita inferiore all'1% su base annuale. Il nostro andamento è rientrato nella tranquilla stagnazione che caratterizza il Belpaese quando le cose vanno discretamente a livello globale. In pratica sembra confermarsi che il +1,5% visto l'anno scorso è de facto il picco cui possiamo aspirare o poco meno. Neppure la Germania mostra comunque un trend entusiasmante: infatti dal quarto trimestre del 2017 l'incremento annuale è stato: +2,8%, +2%, +1,9%, +1,2%. Nel contempo anche la Francia ha mostrato dati simili: +2,5%, +2,1%, +1,7%,+1,5%.
La Spagna mostra ancora un dato decente (+2,5%) soprattutto se si considera che non vi è stato un fortissimo calo dal +3% di un anno fa. L'economia iberica è però troppo piccola per potere invertire il trend generale. In poche parole o Francia e Germania cavano fuori qualche coniglio dal cilindro, a prescindere dalle crepe che si vedono qua e là in Usa, a prescindere del caos politico in Asia, e a prescindere dalle derive italiane, o non si vede davvero che cosa potrebbe cambiare un'inerzia che è sempre più negativa.