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L’oro si sveglia da un lungo letargo
Durante il quarto trimestre del 2018 il prezzo dell’oro è riuscito a recuperare, quando gli asset rischiosi come azioni e obbligazioni corporate soffrivano e mentre i cosiddetti strumenti rifugio come i buoni del Tesoro americani ottenevano buoni risultati.
La quotazione si è mantenuta tra i 1.100 e i 1.200 usd nei cinque anni che hanno preceduto l’avvio dell’attuale trend rialzista. Prima di questa lunga fase di stand by, il prezzo dell’oncia si era impennato fino ai 1.800 usd in occasione della crisi del debito verificatasi nel 2010. Il trend in corso può essere diviso in due fasi: la prima è quella della resistenza opposta da quest’asset class al calo che ha investito l’indice Standard and Poor’s 500 (una discesa di circa il 20% rispetto ai livelli massimi registrati a ottobre); la seconda è quella dell’accelerazione delle quotazioni anche in presenza di un moderato recupero deli indici azionari.
I flussi di denaro in entrata registrati dagli Exchange Traded Funds focalizzati sul metallo prezioso, rappresentano un buon indicatore della propensione degli investitori per quest’asset class. Stando ai dati raccolti ed elaborati da Bloomberg, la quantità di oro investita attraverso gli Etf è cresciuta di 70,6 tonnellate (il maggiore incremento da febbraio 2017). Attualmente ci sono 2.280 tonnellate di oro acquistate attraverso gli Etf, un nuovo record che si traduce in 105,5 mld di euro.
Al di là del naturale interesse degli investitori per l’oro in una fase d’incertezza per la direzione futura dei mercati azionari, sono vari i fattori che hanno potuto alimentare questo rinnovato interesse per l’oncia. In primi le stime del Fondo Monetario Internazionale e delle più importanti banche centrali del pianeta, che stanno rivedendo al ribasso le variazioni del Pil nelle macro-aree industrializzate. I dati confermerebbero che ci troviamo in una fase ormai matura del ciclo economico, in particolare per l’economia statunitense (che avrebbe, a detta di molti, sperimentato un allungamento del ciclo economico grazie alla riforma fiscale introdotta da Trump).
Il tutto avviene in uno scenario in cui l’inflazione sembra essere sotto controllo. L’effetto Amazon alimenta le attese per un futuro ancora deflazionista caratterizzato dall’incedere della tecnologia, dell’efficienza e di un commercio retail sempre con prezzi al ribasso. Tuttavia, la storia insegna che è proprio nei momenti di maggiori certezze su un fenomeno che cominciano a maturare le condizioni per un cambio di rotta. In primis, tra gli investitori ha raggiunto la massima diffusione l’idea che stiamo andando incontro a un mondo senza inflazione.
In secondo luogo, le imprese di paesi ricchi come Usa, Canada, Germania e qualche altro paese del settentrione del Vecchio Continente, stanno cominciando a incontrare difficoltà nel trovare lavoratori qualificati (e questo ha sempre portato un aumento dei salari tale da spingere al rialzo l’inflazione). Cosa centra questo ragionamento con le sorti dell’oro? In passato il metallo giallo è stato uno degli asset in grado di proteggere la ricchezza dall’arrivo di improvvise fiammate inflazioniste.
Nell’attuale contesto, caratterizzato soprattutto da rischi politici difficili da prevedere, il ruolo dell’oro potrebbe essere quanto mai importante. Inoltre, i costi opportunità di tenere posizioni in oro rimangono bassi tenuto conto che i rendimenti sono relativamente contenuti rispetto al passato.