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Il ritorno dell'oro
Considerato da sempre asset anti-inflazione, è riuscito a mettere a segno un ottimo recupero in un anno caratterizzato da timori per l’arrivo di una fase di deflazione. Al di là della magnitudine non indifferente del movimento, appaiono peculiari le condizioni in cui questo rally è avvenuto.
Fra le asset class che in questo 2016 hanno stupito gli investitori va senz'altro annoverato l'oro. Infatti esso è risalito dai minimi degli ultimi mesi del 2015, intorno a 1.050 dollari l'oncia a New York, peraltro un prezzo che non veniva toccato dal 2009, fino a oltre 1.300 dollari questo giugno.
Innanzitutto le ragioni tecniche del fenomeno sono financo banali: sul prezioso giallo si è riversata una valanga di soldi, sia istituzionali, sia privati: nel primo trimestre dell'anno, secondo il World Gold Council, la domanda è cresciuta del 21%, toccando 1.290 tonnellate, grazie al diluvio di denaro arrivato sugli Etc. Contemporaneamente l'offerta è risalita solo dell'8% fermandosi a quota 1.135. Queste cifre non spiegano però perché si è arrivati a tanto: la risposta banale è che semplicemente l'oro è tornato a riprendere il ruolo di bene rifugio come ha sempre avuto in uno scenario di crisi strisciante.
In passato però questo metallo ha sempre visto i suoi momenti di massimo splendore nelle fasi di forti timori inflativi: basti pensare ai primissimi anni ottanta o anche al boom pre-crisi finanziaria degli anni 2000. La prima parte del 2016 ha visto invece il prezioso per eccellenza risalire in un momento di crisi da deflazione, per di più aggravata da un disastro nell'ambito delle materie prime. In un mondo in cui l'obbligazionario è a livelli folli grazie all'azione delle banche centrali, l'azionario non è a buon mercato e l'andamento dei profitti scricchiola mentre gli emergenti non si sa che cosa faranno da grandi, si potrebbe dire che la rotazione verso l'oro potrebbe spiegarsi in un'ottica value. Ciò anche perché, a differenza di altre risorse, non vi è stato un boom della produzione, i cui costi comunque non giustificano eccessive possibilità di ribasso.
Il futuro che attende l'oro probabilmente è continuare a essere decorrelato dagli asset rischiosi nelle fasi di stabilizzazione e moderata propensione al rischio e di correlazione negativa nei periodi di caos. Va da sé che questa indipendenza dal resto del mercato non è poi cosa nuova: uno studio di WisdomTree Europe ha rivelato che, se prendiamo i rendimenti settimanali di varie materie prime in relazione all'andamento dell'azionario globale, scopriamo che l'oro ha la seconda minore correlazione fra tutte le commodity, dietro solo al gas naturale. Altri metalli preziosi, più utilizzati nella manifattura e quindi più ciclici, come il platino e l'argento, ad esempio presentano valori intorno allo 0,3.
Alla fine dunque c'è caso che per questo strumento sia sorto un nuovo paradigma, che mischia elementi tipici del suo passato (il desiderio di trovare un porto sicuro), con una nuova capacità di slegarsi dall'andamento globale dell'inflazione. Va detto infine che comunque il dollaro americano continua a essere piuttosto debole e sarebbe interessante capire cosa potrebbe succedere all'oro nello scenario, oggi lontano, di una Fed che torni a fare una politica monetaria seria.