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Cina-Usa, contrordine compagni
Una delle citazioni più note di Karl Marx è quella secondo cui la storia spesso si ripete: la prima volta sotto forma di tragedia, la seconda come farsa. Ciò che, dati i tempi in cui è vissuto il venerabile filosofo tedesco, non si poteva immaginare era invece un rapido passaggio, nel volgere di mesi se non di settimane, da tragedia a farsa.
L'impressione che si sta infatti ricavando dagli sviluppi recenti sulla querelle commerciale fra Cina e Usa è quella di un dilettantismo assoluto da entrambe le parti, dove si prosegue a tentoni senza davvero sapere dove andare a parare. A lungo si è parlato di una nuova guerra fredda fra le due superpotenze economiche del mondo, con i mercati nel panico e dotti studi sulla fine della globalizzazione. Oggi ci troviamo a fine febbraio 2019 con i mercati cinesi che sono in assoluto i migliori del mondo quanto a performance, dopo il +5,6% messo a segno lunedì 25 febbraio in seguito all'annuncio di Trump che la scadenza del primo marzo, in cui diverse tariffe avrebbero dovuto essere innalzate, non verrà rispettata.
Probabilmente presto avverrà un nuovo incontro fra Xi e Trump negli Usa: nel frattempo la sensazione che si ricava è che ci sia un’irrazionalità assoluta. L'anno scorso è stato fatto partire un processo che è poi sfuggito di mano e le cui conseguenze, specialmente sui mercati, non erano state valutate appieno. In pratica è probabile che i novelli apprendisti stregoni torneranno in gran parte sui propri passi, tentando di trovare un accordo onorevole o quanto meno salva-faccia per tutti.
In qualche maniera, quando sarà chiaro che ci si è incamminati su questo sentiero, sarà più facile valutare gli asset cinesi, in particolare le azioni A. Infatti alla base del +22% e passa registrato dallo Shenzhen composite dall’inizio dell'anno vi è un fenomeno speculare ai cali dell'anno passato, anche se rispetto a un anno fa questo benchmark è ancora in giù di oltre l'11%.
I timori di uno sfascio dell'economia cinese, se non del sistema globalizzato, per quanto non infondati, sono stati probabilmente eccessivamente gonfiati e oggi il pendolo sta tornando dall'altra parte. Allo stato attuale parlare di fondamentali dell'equity cinese, mai una cosa facile di per sé, è praticamente impossibile: il rally attuale infatti appare come il tipico fenomeno di momentum generato dall'afflusso di grandi quantità di liquidità. Ovviamente resta da vedere qual è l’orizzonte temporale di questa massa di denaro che si è abbattuta sui mercati cinesi.
In queste condizioni i guadagni potrebbero essere ancora consistenti e duraturi: non ci sarebbe infatti da sorprendersi di vedere un'annata assolutamente spettacolare con magari i due maggiori benchmark delle azioni A venire su del 50% dai minimi dell'anno scorso. Il che comporterebbe, ad esempio, per lo Shanghai composite un abbondante 20% di ulteriore margine di crescita. Questo movimento porterebbe l'indice poco sopra quota 3.100, ben al di sotto dei picchi oltre 3.500 di inizio 2018, per non parlare di quelli sopra 5.200 del 2015. Questo valore e il massimo storico intorno a 6.000 poco prima della crisi finanziaria erano livelli che non avevano senso, come una base logica non avevano le quotazioni negative viste di recente e neppure quelle attuali.
Non bisogna però dimenticarsi che si tratta di un rally fragile: per avere un mercato azionario finalmente incentrato sui fondamentali molte cose dovranno cambiare e nessuna di queste (lo sviluppo di una base domestica di investitori istituzionali a lungo termine, una maggiore presenza nei portafogli istituzionali, diverse riforme in termini di governance) francamente sembra all'orizzonte.