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Equity cinese, fattori da prendere in considerazione
La storia mostra che il miglior momento per entrare sul listino cinese è quando il mercato azionario è ricco di rischi e di timori legati alle condizioni macroeconomiche del Paese. Sono questi i momenti in cui gli investitori possono trovare buone società a un prezzo conveniente.
Il rapporto prezzo/utili è in generale un indicatore affidabile per valutare il mercato azionario cinese. In seguito ad una correzione di più di 30 punti percentuale dal picco registrato nel gennaio del 2018, molti fattori negativi sono noti e prezzati nelle valutazioni dell’azionario cinese.
I multipli prezzo/utili sono scesi a livelli molto bassi, pari 11 per il P/e forward dell’indice Msci China. Si tratta di un livello molto basso soprattutto in considerazione del fatto che quasi il 40% dell’indice è esposto ai titoli del settore internet, e che queste società trattano normalmente a multipli prezzi/utili superiori alla media, dato il loro profilo di crescita più elevato. La Cina scambia a un P/e prospettico di circa dieci volte, quando nell’ultimo decennio la forbice del P/e si è attestata intorno a 9,5-14,54: il mercato cinese è dunque interessante da questo punto di vista.
Dopo alcuni deflussi nella seconda metà dello scorso anno, di recente la situazione si è stabilizzata. Perché? Innanzitutto, il rallentamento degli utili ha già fatto il suo corso negli ultimi due trimestri ed è ormai assodato che la guerra commerciale e i relativi negoziati sono destinati a proseguire. Malgrado l’incertezza, la Cina può contare su un’opportunità fondamentale di crescita strutturale: i consumi interni. Secondo il Fmi, il Pil pro capite in Cina nel 2017 era pari a circa Usd 9.000. Nel Regno Unito ammontava a circa Usd 40.000 e negli Stati Uniti a circa Usd 60.000. Nel corso del prossimo decennio, l’incidenza dei consumi interni in Cina dovrebbe continuare a crescere stabilmente; non sembra probabile che possa regredire. Di fatto, il Pil cinese a parità di potere d’acquisto nel 2017 ammontava a Usd 16.696 e, secondo le stime, dovrebbe salire a Usd 26.178 nel 2023.
Molti indicano il ratiodebito privato/Pil -attualmente al 160% – come una delle mine vaganti per il mercato finanziario cinese. Tuttavia, secondo un numero elevato di money manager il debito non dovrebbe rappresentare un ostacolo tale da allontanare gli investitori dalle società cinesi. Al contrario, ciò significa solo che gli investitori hanno bisogno di selezionare con molta attenzione i nomi in cui investire in Cina. Il problema relativo al debito privato nel Paese riguarda soprattutto le società attive nel settore dell’industria pesante come edilizia e minerario. Sul fronte della tecnologia, dell’healthcare e dei settori guidati dai consumi, molte società cinesi possiedono più liquidità che debito.
Il maggior ostacolo all’investimento in Cina è soprattutto la carenza di familiarità e una scarsa conoscenza dei settori e delle società cinesi, aspetto che porta gli investitori a nutrire interesse nel Paese solo dopo le fasi di rally del mercato azionario.
Senza dubbio, le schermaglie sui dazi hanno contribuito all’indebolimento della crescita in Cina. Verso la fine dello scorso anno, la Cina ha concentrato le proprie esportazioni verso gli Stati Uniti nel tentativo di contrastare l’aumento dei dazi previsto a gennaio. Ora quel momento è arrivato e ne vedremo le ripercussioni durante l’anno in corso. Ma ci sono altri due fattori da considerare.
In primo luogo, all’inizio del 2018 il governo cinese aveva lanciato una serie di misure volte alla riduzione dell’indebitamento per cercare di porre un freno al debito complessivo nazionale e rafforzare il controllo sul finanziamento bancario e fuori bilancio, privilegiando una crescita di qualità. Queste politiche monetarie hanno ovviamente rallentato la crescita.
In secondo luogo, aleggia l’incertezza sulle intenzioni di spesa in conto capitale da parte delle aziende. Le società nutrono dubbi riguardo alla congiuntura di lungo termine e alle prospettive in termini di ordini, perciò tendono a limitare la spesa. Terzo, il ciclo del dollaro si avvicina al picco, e questo è un bene per i mercati emergenti.