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Mercati: l’ottimismo dopo il compromesso sui dazi Usa-Cina
I rendimenti dei Treasury restano elevati, con stime al 4 per cento per i 2 anni e oltre il 5 per i 30 anni, riflettendo minori timori recessivi e un bilancio pubblico sotto pressione. Crescono i timori al riguardo, perché il deficit federale potrebbe superare il 7 per cento del PIL entro il 2026.

Lo scacchiere geopolitico internazionale è in continua evoluzione, perché la politica dei dazi dell’Amministrazione Usa non ha ancora trovato stabilità. La scorsa settimana, sorprendendo i mercati, c’è stata infatti la reciproca riduzione dei dazi tra Stati Uniti e la Cina, segnalando un cambio di rotta più pragmatico che ha rasserenato gli investitori e abbassato i timori di recessione. Nel frattempo, l’economia Usa mostra segnali positivi, nonostante - segnala Mark Dowding, fixed income CIO, di RBC BlueBay AM - la volatilità politica e i dubbi su Trump. La Fed, forse anche per questo, ha ancora una volta mantenuto i tassi fermi e comunque, secondo l’esperto, i mercati si preparano a scenari mutevoli. Intanto, in Europa e in Asia le dinamiche politiche e monetarie restano complesse, con la BoJ che potrebbe presto alzare i tassi.
La luna di miele dei mercati nei primi cento giorni di Trump
I mercati hanno girato quando Washington ha annunciato di avere temporaneamente ridotto i dazi sulla Cina dal 145% al 30%, spingendo Pechino a fare altrettanto. Di riflesso, il fantasma della recessione ha iniziato a fare meno paura perché si sono attenuati i timori legati a possibili interruzioni delle supply chain. Nonostante un lieve aumento dei dazi cinesi rispetto a inizio 2025, il cambio di tono suggerisce un approccio meno conflittuale. Nel frattempo, rileva Dowding, dal giorno delle elezioni, gli indicatori economici USA sono migliorati: S&P in crescita, inflazione, petrolio e tassi in discesa, economia stabile, dollaro più debole, con un’economia in piena occupazione. Anche senza grandi progressi geopolitici, i primi cento giorni dell’Amministrazione Trump appaiono più solidi del previsto.
PIL Usa +1,5%, inflazione per ora sotto controllo
In RBC BluBay, in assenza di nuove tensioni commerciali, stimano la crescita del PIL USA intorno all’1,5%, anche se le continue revisioni mettono in dubbio l'affidabilità di queste previsioni a lungo termine. L'inflazione core è intanto indicata al 2,8%, un dato da considerarsi positivo, anche se persistono rischi al rialzo legati alle tariffe doganali e all’andamento delle catene di rifornimento. Per questo motivo, secondo l’esperto, la decisione della Fed di mantenere la propria politica invariata può essere giustificata. Le notizie recenti mostrano che, in un contesto incerto - e nonostante le pressioni esercitate dall’Amministrazione Trump - la Fed deve evitare congetture e basarsi su dati concreti per guidare la politica monetaria e restare allineata agli obiettivi di inflazione e occupazione.
Nel 2025 solo due tagli dei tassi Usa
La Fed, secondo Dowding, manterrà invariati i tassi d’interesse per i prossimi due trimestri. Ma guardando all'intero anno, stima che le probabilità di tagli superano nettamente quelle di rialzi. In questo scenario, prevede un fair value dei Treasury a 2 anni attorno al 4%. Nell’ultima settimana, per altro, l’aumento dei rendimenti ha portato i mercati dei futures a prezzare solo due tagli della Fed entro dicembre, in linea con il dot plot di marzo, un netto ridimensionamento rispetto ai quattro tagli attesi fino a poco tempo fa. Anche i rendimenti decennali al 4,5% appaiono giustificati, sebbene l’esperto veda possibili rialzi nella parte lunga della curva. I tassi a 30 anni potrebbero superare infatti il 5%, spinti dal calo delle preoccupazioni recessive e dai timori legati al peggioramento del bilancio pubblico statunitense.
I dubbi sul deficit Usa
Gli obbligazionisti stanno sempre più focalizzando l’attenzione sulla fragile situazione fiscale Usa. Le attuali stime indicano un deficit vicino al 7% anche per il 2026, ma il raggiungimento di questo livello dipende da una crescita economica stabile e da entrate daziarie previste tra i 250 e i 300 miliardi di dollari (circa l’1% del PIL). Se tali entrate si rivelassero inferiori, il deficit potrebbe ampliarsi ulteriormente. Nel frattempo, le ipotesi di risparmi legati al DOGE appaiono ormai irrealistiche e le aspettative di un calo dei rendimenti - che avrebbe ridotto i costi di finanziamento - non si sono concretizzate. In questo contesto, secondo Dowding, è probabile un aumento dell’emissione di debito pubblico. Con una minore domanda estera di Treasury, rendimenti più alti saranno necessari per attrarre capitali.
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