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Wall Street, la versione del ratio di Shiller
Il ratio prezzo utile di Shiller si differenzia dal ratio prezzo su utile comunemente utilizzato perché non limita il suo raggio di azione a un solo esercizio, ma estende l’analisi del rapporto tra prezzo dei titoli e utili conseguiti dalle aziende per un periodo di dieci anni.
L’obiettivo è prendere in considerazione l’andamento del ratio in tutte le fasi di un ciclo economico: espansione, tetto, contrazione, floor. L’obiettivo? Eliminare le influenze delle previsioni di breve termine.
Un indicatore molto diffuso come il P/e di Shiller si è nuovamente impennato fino a sfiorare livelli pre-crollo visti nel 1929. Il superamento del livello 30 da parte di questo ratio -agganciato alla fase del ciclo economico che stiamo vivendo- già si è verificato nella parte conclusiva del 2018. Per il passato, il ratio è stato più elevato solo in occasione della bolla speculativa sui titoli tecnologici (crollo dell’indice Nasdaq) nei primi mesi del 2000. In quell’occasione, il P/e Shiller dello S&P 500 arrivò a quota 45.
Nel 2007, prima del default di Lehman Brothers e dello scoppio della bolla sulle ipoteche subprime, il ratio P/e di Shiller era prossimo a quota 28. Poco prima del lunedì nero del 1987, uno dei momenti storici che viene solitamente messo a confronto con la situazione attuale, viaggiava intorno ai 16.
Stando a un modello di analisi messo a punto da Research Affiliates, con il P/e di Shiller attuale, la potenziale rivalutazione annua dell’indice è vicina all’1%. Il modello prende in considerazione la performance annua storica offerta dall’indice (6%) e la ‘aggiusta’ in ragione della fase del ciclo. Questa prospettiva non esaltante sembrerebbe confermare che l’acquisto di azioni Usa sia oggi poco conveniente in termini di potenzialità di rialzo delle quotazioni.
Tuttavia, quest’analisi prospettica non esclude che l’arrivo della prossima recessione possa verificarsi anche tra 4-5 anni e che, in questo lasso di tempo, lo S&P500 possa stazionare su livelli prossimi a quelli attuali o crescere più di quanto indichino le stime più prudenti o quelle agganciate alla media storica.
La conclusione principale che si evince dall’analisi è che il rendimento annualizzato atteso che ci si può aspettare dallo S&P 500 per il prossimo decennio sarà tanto più basso quanto più elevato sarà il valore del ratio. Vale a dire, il ratio non ci indica che da qui a poco arriverà un crollo o se il trend rialzista si invertirà (o quale sarà l’intensità della correzione). Tuttavia, il P/e di Shiller ci avverte che a questo livello del ciclo economico, l’acquisto di strumenti che investono sull’indice allargato Usa risulta caro (sopravvalutato).
Secondo gli analisti interpellati da Bloomberg, le probabilità che gli Usa entrino in recessione nei prossimi dodici mesi sono del 25%. Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, è intervenuto a placare gli animi, affermando che la probabilità di una recessione non è così elevata.
L’indice Standard and Poor’s 500 ha recuperato circa il 20% dai minimi toccati in autunno e gli esperti cominciano a interrogarsi sulla sostenibilità delle quotazioni attuali. Fino a questo momento nulla -o quasi- hanno potuto i sintomi di decelerazione della crescita economica globale, la paura per l’avvio di un trend ribassista di medio termine dei listini azionari, le potenziali conseguenze di una guerra commerciale Usa-Cina e neppure l’elevato livello di indebitamento raggiunto da alcuni paesi. L’indice Usa si è riportato a solo 5 punti percentuali dal massimo storico registrato il 20 settembre del 2018.