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Cina e Germania, i leader degli anni 2000
Siamo ormai in prossimità della fine di un altro decennio in cui è successo di tutto, anche se complessivamente i mercati finanziari hanno avuto un andamento stupefacente in senso positivo. Esattamente 10 anni fa eravamo ai minimi della crisi finanziaria, in mezzo a previsioni apocalittiche di un nuovo 1929 e di una nuova Repubblica di Weimar a causa del Qe delle banche centrali. Ovviamente lo scenario è risultato poi radicalmente diverso. Vale la pena, però, allargare lo sguardo fino alla fine degli anni ‘90 per dare una valutazione di quelle che sono state le economie più brillanti. Incidentalmente si tratta dell’era che coincide con l'esplosione di internet che ha cambiato tutto. In pratica un elenco di vincitori della globalizzazione con in più una valutazione finale di quanto è successo.
E tra gli indubbi vincitori non sorprendentemente al primo posto troviamo la Cina. Paese che solo 20 anni fa era poverissimo, molto più povero di qualsiasi nazione definita emergente. Oggi la Repubblica Popolare non solo è la seconda economia del mondo (la prima se calcoliamo il suo Pil a parità di potere d'acquisto), ma ha anche raggiunto un Pil pro capite nominale di 10 mila dollari (20 mila a Ppp), un livello superiore a quello di nazioni con storie di sviluppo capitalistico molto più lunghe e con ondizioni demografiche e geografiche più favorevoli, come Argentina, Brasile, Messico e Turchia.
Nel 2000 il Pil pro capite nominale cinese non arrivava a 1.000 dollari ed era poco più del 2,6% del livello statunitense, mentre oggi è quasi 1/6 con una marcia di avvicinamento che è sostenuta da una crescita economica comunque intorno al 6%, grazie a un salto tecnologico e qualitativo degli apparati produttivi senza precedenti. Questo livello peraltro rappresenterebbe una situazione di boom pazzesco per diversi emergenti ben più poveri.
Il secondo paese uscito vincitore da questo ventennio è la Germania, in condizioni quasi italiane agli albori degli anni 2000, in quanto era considerata all'epoca una nazione dall'economia sclerotica, antiquata e con un andamento demografico orrendo. Quest'ultimo è rimasto, immigrazione a parte, ma la Germania, come nessun altro paese europeo e pochissimi altri occidentali in genere, ha saputo cogliere i cambiamenti della globalizzazione. Innanzitutto essa ha fornito una miriade di beni in conto capitale necessari all'industrializzazione del mondo che prima era rimasto alla dimensione rurale, in secundis la sua industria dell'auto ha assunto una posizione dominante come nessun altro concorrente in giro per il pianeta, specialmente sul mercato cinese e nell'unico ambito in cui l'automobile fornisce margini di profitto seri, ossia le grosse cilindrate.
Certo la Germania, software industriale a parte, non appare un colosso dell'economia digitalizzata e produce pochino in termini di fenomeni di entertainment e di costume non solo rispetto a Usa e Regno Unito, ma anche rispetto a Francia, Giappone e Corea del sud. Per dire il paese non ha un'industria dei videogame rilevante, non ha una piattaforma internet popolare a livello mondiale ed è praticamente assente nell'elettronica di consumo. Se però da una parte Instagram, Wechat, Fortnite, Louis Vuitton, la Premier League e il K-pop sono fenomeni che muovono montagne di soldi, dall'altra resta il fatto che in questi anni il sistema nei suoi apparati fisici è funzionato in gran parte grazie al made in Germany.
Anche in questo caso aiuta il confronto con un passato non più così recente: nel 2000 il Pil pro capite nominale tedesco era praticamente uguale a quello francese e non più dell'85% di quello britannico: oggi risulta più elevato rispetto alla Francia del 14% e del 12,5% in confronto al Regno Unito. A parità di potere d'acquisto la distanza risulta ancora più forte, con la Germania in vantaggio rispetto alla Francia del 16,5% e sulla Gran Bretagna di oltre il 20%. Evitiamo per carità di patria confronti con l'Italia.