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Il pendolo dei mercati finanziari
Analisti ed economisti sono molto bravi a spiegare quel che è già successo ma meno capaci di formulare delle previsioni attendibili su quello che ci riserva il futuro.
In uno studio pubblicato l’anno scorso dalla società di gestione statunitense Pimco, si evidenziava che il 97% degli economisti non è stato in grado di pronosticare una recessione nei dodici mesi che ne hanno preceduto l’arrivo.
Nell’attuale fase di mercato la situazione sembra ancor più complessa di quelle sperimentate nel passato recente. Dopo appena due mesi dall’inizio del nuovo anno, numerose asset class hanno già offerto performance che nei report di dicembre venivano prospettate per la fine del 2019. Se prendiamo come punto di riferimento la fine di febbraio, le performance year to date realizzate attraverso la costruzione di un portafoglio bilanciato tra equities e bond si sarebbero attestate tra il 5% e il 6% (rendimento solitamente ipotizzabile in un arco temporale di almeno dodici mesi).
Cos’è successo sui mercati di tanto rilevante da aver alimentato tale spinta rialzista? Nulla di particolare, la realtà è che si è materializzato un cambio del sentiment degli investitori accompagnato da alcuni fattori tecnici in grado di influenzare la dinamica dei mercati finanziari. Il cambiamento intervenuto nel sentiment degli investitori si spiega in larga parte con il nuovo approccio adottato dalle banche centrali, nettamente più morbido e meno propenso alle strette monetarie rispetto a quando visto nel corso del 2018. In presenza di chiari segnali di rallentamento dell’economia, la Federal Reserve ha deciso di togliere rapidamente il piede dall’acceleratore dei tassi.
Molti esperti sostengono che un ruolo attivo nel recupero delle quotazioni l’abbiano esercitato anche gli algoritmi che regolano i flussi di acquisti e vendite in ragione dei dati macroeconomici che vengono di volta in volta pubblicati. Gli algoritmi tengono conto di una lunga serie di fattori, non ultima l’inversione della curva dei rendimenti negli Usa. Questo provoca un’accelerazione dei movimenti al rialzo e al ribasso anche in assenza di ragioni strutturali. A questo bisogna sommare anche il ruolo della illiquidità che impera sui mercati finanziari.
Gli indicatori macroeconomici dell’ultimo trimestre 2018 indicavano l’arrivo di una fase di decelerazione, in particolare nell’Eurozona, ma non l’arrivo di una recessione tale da giustificare una discesa così pesante delle Borse come quella verificatasi in autunno. Passare da stime di crescita economica mondiale prossima al 3,5% a stime di variazione del Pil quasi nulle è certamente uno shock per i mercati, tuttavia, la storia insegna che prima di entrare in recessione l’economia deve attraversare un periodo più o meno lungo di rallentamento.
A livello di costruzione dei portafogli, la cosa più preoccupante è l’elevata correlazione mostrata dalle asset class sia quando le cose vanno molto bene sia quando tendono ad andare male. Negli ultimi sei mesi, questo trend ha coinvolto quasi tutte le asset class. Nonostante la tendenza all’uniformità, i bond provvisti di elevato rating hanno dimostrato di saper difendere meglio il capitale, Dopo le perdite autunnali, l’equity dei paesi industrializzati non ha ancora recuperato i livelli registrato lo scorso settembre e i government bond a tripla e doppia A hanno accumulato un buon guadagno.