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Banche: nessun effetto contagio dal crack di Credit Suisse
Dietro il crack di Credit Suisse c’è una crisi di fiducia, che ha generato la fuga dei depositi e, soprattutto, una cattiva gestione dell’istituto. Per questo, secondo gli esperti, non si prevede un effetto contagio. Il sistema è inoltre ben capitalizzato e super controllato.
Gli analisti smorzano i timori di un effetto contagio dei venti di crisi che stanno soffiando sul sistema bancario, statunitense ed europeo in particolare. I problemi che hanno costretto le autorità a intervenire sugli istituti statunitensi Silicon Valley Bank, Silvergate e Signature (e che potrebbero coinvolgerne altri) sono del tutto diversi dalle cause che hanno determinato il crack di Credit Suisse e da quelle che hanno provocato la pesante caduta accusata dalla principale istituzione finanziaria tedesca, la Deutsche Bank. Sono stati sì tutti fattori che hanno determinato una forte volatilità sui mercati, ma la base che ha generato queste turbolenze è composta da elementi in gran parte diversi.
Dietro la crisi di alcuni istituti Usa
I problemi di SVB, per esempio, secondo Justin Bisseker e Jonathan Harris, european banks analyst e global credit investment director di Schroders, derivavano da una base di clienti dominata da start-up tecnologiche, i cui depositi erano investiti dalla banca in Treasury Usa e titoli simili. Con il forte aumento dei tassi, il valore di tali asset è sceso. Allo stesso tempo, la stretta sul credito della Fed ha provocato l'esaurimento dei finanziamenti a queste società, che hanno così iniziato a ritirare i depositi da SVB. La crisi di liquidità ha messo in movimento Moody’s, che ha declassato il sistema bancario Usa e messo sotto osservazione (con minaccia di downgrade) diversi istituti, tra cui Comerica, California’s First Republic, Kansas’ Intrust, Missouri’s UMB, Arizona’s Western Alliance Bancorp e Utah’s Zions Bancorp.
La fuga dei depositi dal Credit Suisse
La crisi di Credit Suisse viene spalmata nell’arco degli ultimi due anni, tra scandali (accuse di riciclaggio, spionaggio) e default (marzo 2021) avvenuti a stretto giro della britannica Greensill Capital e della statunitense Archegos Capital Management, due finanziarie verso cui l’esposizione dell’istituto elvetico era importante. Lo scorso ottobre la banca ha presentato poi un nuovo piano di rilancio, che però è stato considerato dal mercato non sufficientemente aggressivo. Questo, insieme alla pressione sul prezzo delle azioni per un aumento di capitale di 4 miliardi di franchi svizzeri, ha provocato un significativo deflusso di depositi dalla banca e la fuga degli azionisti. L’ultimo atto lo scorso 8 marzo, quando il Credit Suisse ritarda la pubblicazione dei conti relativi all’esercizio 2022.
L’ammissione di debolezze sostanziali nei controlli
La notte prima, ricordano in Morningstar, la banca ha ricevuto una chiamata dalla Securities and Exchange Commission Usa che ha messo in dubbio le revisioni dei rendiconti del 2019 e 2020, e relativi controlli. Solo il 14 marzo il Credit Suisse ha presentato l’annual report, ammettendo di avere debolezze sostanziali nei propri controlli finanziari. Il suo salvataggio è stato pilotato dalle autorità locali per preservare la stabilità finanziaria. L'alternativa, secondo i due esperti di Schroders, sarebbe stata il disordine, con un calo ancora più marcato del prezzo delle azioni di Credit Suisse e implicazioni negative per la percezione globale della stabilità del sistema bancario svizzero. Tuttavia, l’arrivo di UBS ha destato scalpore poiché sono stati privilegiati gli azionisti anziché gli obbligazionisti.
Gli obbligazionisti sono rimasti col cerino in mano
I mercati s’interrogano sulle conseguenze del modo in cui si è arrivati al salvataggio di Credit Suisse: mentre gli azionisti riceveranno 3 miliardi di franchi in azioni UBS, il valore di 16 miliardi di franchi di Additional Tier 1 (AT1, che sono di grado superiore rispetto alle azioni) in mano gli obbligazionisti verrà azzerato. Questo è stato possibile dopo che le autorità svizzere hanno modificato la norma per imporre una perdita ai detentori del debito AT1. La decisione, stima Schroders, causerà scompiglio nel mercato delle AT1, soprattutto per nomi più rischiosi del settore. Per questo l'Autorità bancaria europea e la Bank of England hanno preso le distanze da questa decisione. Secondo Morningstar tra i fondi più esposti ai bond AT1 di Credit Suisse figurano GAM Star Credit Opportunities e Nordea 1 – European High Yield Bond.
È tutta questione di fiducia
L’esistenza del settore bancario è davvero un gioco di fiducia. Non c'è banca al mondo, secondo Bisseker e Harris, che possa sopravvivere se ogni singolo depositante ritira il proprio denaro. È per questo motivo che una buona regolamentazione e la prudenza degli stessi istituti sono fondamentali. Per il settore paneuropeo in generale, questo rapporto dovrebbe eliminare il rischio di un'implosione disordinata di Credit Suisse. Si tratta di un fatto positivo per le banche. Perciò, secondo i due analisti, quello che è successo a Credit Suisse è un caso isolato nel settore bancario europeo e non c'è alcuna possibilità che la situazione si trasmetta ad altre banche. Senza contare che la situazione che il settore bancario si trova ad affrontare è molto diversa e molto meno grave di quella della crisi finanziaria del 2008.
Il sistema è molto più resiliente rispetto al 2008
Oggi, infatti, gli istituti sono molto più conservativi, il capitale è superiore rispetto a quello del 2008, la liquidità è strettamente regolamentata e le Banche centrali sono in una posizione migliore per rispondere data l'esperienza maturata 15 anni fa. È opinione degli esperti, inoltre, che il terremoto che ha travolto il Credit Suisse sia di origine gestionale che, alla fine, ha fatto i conti con una combinazione maligna: una regolamentazione più rigida e il rapido aumento dei tassi d’interesse.