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CGIA: Covid, quest’anno italiani più poveri di 2.500 euro
La pandemia avrà pesanti ripercussioni nelle tasche degli italiani, che quest’anno potrebbero perdere in media 2.500 euro. Il peggiore impatto sarà nelle regioni meridionali. Secondo la CGIA di Mestre le stime del Governo sulla ripresa dell’economia sono troppo ottimistiche.
La pandemia da Covid-19 si tradurrà per le tasche di ogni italiano in una perdita di quasi 2.500 euro, con un impatto sull’economia del Paese ancora più drammatico: il Pil tornerà indietro di molti anni, in particolare nelle regioni del Sud di almeno 31 anni. È quanto stima l’Ufficio studi della CGIA, secondo cui mediamente la perdita per ciascun cittadino sarà esattamente di 2.484 euro, con punte che riguardano soprattutto alcune delle città più ricche: per l’esattezza 3.456 euro a Firenze, 3.603 a Bologna, 3.645 a Modena, 4.058 a Bolzano e, addirittura, di 5.575 euro a Milano.
Il Pil nel Sud crolla ai minimi degli ultimi 31 anni
Il Pil delle regioni meridionali, anche se è destinato ad accusare una riduzione più contenuta rispetto a tutte le altre macro aree del Paese (-9%), scivolerà ai livelli del 1989, di fatto ai minimi degli ultimi 31 anni. Ma si prevedono ‘involuzioni’ peggiori se si considerano alcune singole realtà, come sono i casi di Molise, Campania e Calabria, che torneranno allo stesso livello di Pil reale registrato nel 1988 (32 anni) e della Sicilia, la cui congiuntura sfronderà nientemeno ai livelli del 1986 (34 anni orsono).
Le stime del Governo troppo ottimistiche
Gli artigiani ritengono che questi dati siano sottostimati perché (in quanto aggiornati al 13 ottobre scorso) non tengono conto degli effetti economici negativi che deriveranno dagli ultimi DPCM introdotti in queste ultime due settimane. Per questo, sostengono che le previsioni del Governo rilasciate in ottobre siano troppo ottimistiche. Secondo loro, infatti, la caduta del Pil nazionale quest’anno dovrebbe sfiorare il 10 per cento, quasi un punto in più rispetto alle stime ufficiali contenute nella NADEF (Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza).
Rischio di una crisi sociale
Con meno soldi in tasca, più disoccupati e tante attività che rischiano di chiudere, c’è il rischio di una crisi sociale. In particolare nel Mezzogiorno c’è il pericolo che le organizzazioni criminali cavalchino questo disagio. Per evitare ciò, secondo la CGIA, bisogna sostenere con contributi a fondo perduto non solo le attività che saranno costrette a chiudere per decreto, ma anche una buona parte delle altre, soprattutto quelle artigianali e commerciali, che, sebbene abbiano la possibilità di tenere aperto, già da una settimana denunciano che non hanno più clienti.
Incentivi e meno tasse per imprese e famiglie
È auspicabile che il Governo agisca su due fronti: nel breve periodo con massicci indennizzi e, sul medio-lungo periodo, con una drastica riduzione delle tasse alle famiglie e alle imprese per far ripartire sia i consumi che gli investimenti. Gli esperti della CGIA non si fanno però molte illusioni, ricordando che la tanto agognata riforma fiscale sarà introdotta solo nel 2022 e che gli investimenti nelle grandi infrastrutture sono legati ai fondi del Next Generation EU che, nell’ipotesi migliore, arriveranno solo nella seconda metà del 2021. E, di riflesso, il loro effetto si farà sentire solo nell’anno successivo.
L’occupazione ‘tiene’ grazie a blocco licenziamenti
Una delle maggiori ripercussioni della crisi in atto è quella che si ha a livello occupazionale. Se nei prossimi mesi il numero dei disoccupati fosse destinato ad aumentare a vista d’occhio, la tenuta sociale del Paese sarebbe a forte rischio. Anche perché, secondo l’analisi, grazie all’introduzione (lo scorso marzo) del blocco dei licenziamenti, quest’anno gli occupati scenderanno ‘solo’ di circa 500 mila unità. In termini percentuali sarà sempre il Mezzogiorno la ripartizione geografica del Paese a subire la contrazione più marcata (-2,9% pari a -180.700 addetti).