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CGIA: i settori economici più penalizzati dal coronavirus
Il crollo del fatturato determinato dalla pandemia è stato particolarmente sentito in alcuni settori come il commercio, i servizi alla persona, l’intrattenimento e il turismo. Lo stima la CGIA, secondo cui con lo sblocco dei licenziamenti in calendario a marzo sono a rischio 2 milioni di posti.
Gli effetti della pandemia da coronavirus sull’economia del nostro Paese sono stati importanti e non hanno risparmiato alcun settore produttivo. Al momento, gli aiuti messi in campo dal Governo hanno solo tamponato la situazione delle imprese e dei consumatori, che potrebbe precipitare con lo sblocco dei licenziamenti (previsto per marzo) che metterebbe a rischio circa 2 milioni di addetti. Dalle stime sull’andamento medio del fatturato dello scorso anno – secondo una ricerca della CGIA di Mestre - i settori più colpiti dal Covid-19 hanno interessato, in particolar modo, il commercio, i servizi alla persona, l’area dell’intrattenimento, il turismo.
Il crollo del fatturato nel turismo e nell’intrattenimento
I numeri del giro d’affari sono impietosi. Tra i più penalizzati le agenzie di viaggio/tour operator, che hanno visto il fatturato calare del 73,2%, le attività artistiche, palestre, piscine, sale giochi, cinema/teatri (-70%), gli alberghi e alloggi (-53%) e bar/ristoranti (-34,7%). Flessione a doppia cifra anche per le imprese di noleggio e leasing (-30,3%) e del commercio/riparazione di auto e moto (-19,9%). In assoluto, la perdita più ampia ha interessato il commercio all’ingrosso (-44,3 miliardi di euro). Seguono commercio/riparazione auto e moto (-26,8 mld), bar e i ristoranti (-21,3 mld), attività artistiche, palestre, sale giochi, cinema e teatri (-18,3 mld), commercio al dettaglio (-18,2 mld), alberghi (-13,9 mld) e agenzie di viaggio/tour operator (-9,3 mld).
Con lo sblocco dei licenziamenti a rischio 2 mln di posti
Secondo una recente indagine realizzata dall’Istat, sono 292 mila le aziende che si trovano in una situazione di seria difficoltà. Attività che danno lavoro a 1,9 milioni di addetti e producono un valore aggiunto che sfiora i 63 miliardi di euro. Stiamo parlando di micro attività (aziende con una media di 6,5 dipendenti) che, pesantemente colpite dall’emergenza sanitaria, non hanno adottato alcuna strategia di risposta alla crisi e, conseguentemente, - secondo l’analisi della CGIA - corrono il pericolo di chiudere definitivamente ‘bottega’. I settori economici maggiormente interessati da queste 292 mila attività sono il tessile, l’abbigliamento, la stampa, i mobili e l’edilizia.
Nel Mezzogiorno la crisi più grave
Nei servizi si distinguono le difficoltà della ristorazione, degli alloggi/alberghi, del commercio dell’auto e di altri comparti come il commercio al dettaglio, il noleggio, i viaggi, il gioco e lo sport. È evidente che non tutti questi operatori economici chiuderanno definitivamente i battenti, tuttavia con lo sblocco dei licenziamenti, molti degli addetti di queste attività rischiano di trovarsi senza un’occupazione regolare. La crisi ha colpito indistintamente tutti, anche se il Mezzogiorno è l’area geografica che sta subendo più delle altre gli effetti negativi della pandemia, sia da un punto di vista economico sia sociale. Tuttavia, c’è un denominatore comune che caratterizza tutto il Paese: la crisi delle città d’arte ad alta vocazione turistica.
Gli esuberi ingrosseranno l’economia sommersa
È prevedibile un incremento del lavoro nero: gli esuberi, secondo l’Ufficio studi della CGIA, sono infatti destinati ad ingrossare le fila dell’economia sommersa. Le persone, non riuscendo a trovare un nuovo lavoro, saranno più disposte ad accettare un’occupazione irregolare o si improvviseranno come abusivi. Grazie a questa scelta riusciranno a percepire pochi euro alla settimana (senza alcun versamento di imposte, contributi previdenziali e assicurativi). Ad ‘ammortizzare’ la perdita di posti, quindi, ci penserà l’economia sommersa. Gli ultimi dati disponibili dicono che in Italia ci sono oltre 3,3 milioni di occupati in nero e il 38% del totale è presente nelle regioni del Sud. Pur essendo sconosciuti a Inps, Inail e fisco, gli effetti economici negativi che producono questi soggetti sono preoccupanti: ‘generano’ infatti 78,7 miliardi di euro di valore aggiunto sommerso.