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Emergenti: alla prova del tapering dei Paesi sviluppati
La prima mossa che contrasta l’inflazione è il tapering annunciato dalla Fed, mossa cui dovrebbero allinearsi le altre Banche centrali dei Paesi sviluppati. Gli esperti analizzano i possibili effetti che questo nuovo orientamento monetario avrà sulle valute dei Paesi emergenti.
La persistente alta inflazione a livello globale ‘agevola’ lo spazio a una stretta del credito, più o meno ampia: ormai i mercati finanziari incorporano l’idea che questa strada sia già tracciata. Le Banche centrali del mondo sviluppato inizieranno a muoversi in questo senso con estrema cautela per non rischiare di strozzare la crescita economica, poiché - secondo gli esperti - non possono rischiare che la situazione dal punto di vista delle tensioni sui prezzi diventi fuori controllo. Il primo passo è stato annunciato, con ampie anticipazioni (per non creare choc tra gli investitori), dalla Federal Reserve Usa: si accinge a ridurre progressivamente (il via al tapering), a partire da novembre, il programma di acquisto di bond da 120 miliardi di dollari al mese.
La prima a muoversi sarà la Fed
L’attenzione della Fed è infatti puntata, per ora, soprattutto sul mercato del lavoro e, in particolare, sulle pressioni inflative che potrebbero derivare dagli aumenti salariali. Nel dettaglio, ha spiegato il Presidente, Jerome Powell, i tassi d’interesse non sono stati alzati proprio per permettere al mercato del lavoro di raggiungere la massima occupazione entro la metà del 2022. Eppure, nonostante questo status quo, i mercati obbligazionari hanno visto un rapido aumento dei rendimenti dei bond a breve scadenza nei Paesi sviluppati. Questo movimento, secondo James Barrineau, head of global Emd strategy di Schroders, potrebbe essere un segnale del fatto che gli investitori ritengono che le Banche centrali del mondo sviluppato siano già in ritardo sul problema inflazione.
I primi segnali dell’arrivo di una stretta
Lo strappo al rialzo dei rendimenti ha contributo alla sotto-performance delle valute dei mercati emergenti, rispetto a un dollaro rimasto relativamente stabile. Gli Istituti di emissione dei Paesi emergenti hanno già iniziato a rispondere all’aumento dei prezzi (anche se in alcuni casi il lavoro da fare è ancora molto). Infatti, ha rilevato l’esperto, i tassi d'interesse a breve termine nei mercati emergenti hanno iniziato a scontare perfettamente le aspettative di una mossa rialzista da parte delle Banche centrali nel mondo sviluppato. Ma il tapering nei mercati sviluppati potrebbe essere di supporto per le valute emergenti? In generale, un atteggiamento ‘da falco’ delle banche centrali nei Paesi sviluppati ha implicazioni negative per le valute emergenti.
Le Banche centrali sul nastro di partenza
In tempi normali, spiega Barrineau, i rendimenti dei bond dei Paesi emergenti denominati in valuta locale seguono la stessa traiettoria del dollaro. Tuttavia, in ottobre i mercati hanno avuto un’insolita divergenza: il dollaro è rimasto quasi stabile, mentre il debito emergente in valuta locale ha avuto rendimenti in calo di circa l’1% e questo nonostante un rialzo di mezzo punto dei tassi. Intanto sono giunti messaggi contrastanti delle Banche centrali dei Paesi sviluppati: la Bank of Canada ha sorpreso annunciando una possibile stretta già ad aprile 2022 mentre la Bce ha confermato la politica monetaria. Nel frattempo, i tassi a breve di Regno Unito, Canada e Australia sono saliti di oltre 60 punti da gennaio, e di 30 pb solo negli Usa da inizio settembre.
Prospettive rialziste per le valute emergenti
L’orientamento rialzista dei tassi osservato in queste piazze finanziarie, in contemporanea alla relativa stabilità registrata dal dollaro e alla propensione positiva verso il rischio azionario, ha comunque alimentato una serie di venti contrari per i mercati emergenti. Con la conferma del tapering da parte della Fed si potrà vedere se i mercati saranno più a loro agio con la risposta delle Banche centrali dei Paesi sviluppati alla minaccia dell’inflazione. Questa fiducia potrebbe essere riconquistata con la combinazione di una retorica meno salda e minori timori sul fronte inflazione. Se tale scenario dovesse realizzarsi, secondo l’esperto è possibile una sovrapeformance delle valute dei mercati emergenti, in assenza di un rally significativo per il dollaro.