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Europa: i sei fattori che alimentano l’inflazione
La pandemia ha portato in Europa cambi nel comportamento dei consumatori e nell’energia tali che potrebbero portare, nei prossimi anni, a un aumento dell’inflazione. Le Banche centrali stanno, però, attente a non alzare troppo presto i tassi per non strozzare la ripresa.
L’aumento dei prezzi che sta accompagnando l’economia mondiale, dovuto al rialzo dei prezzi dell’energia, alla carenza di manodopera e alle strozzature negli approvvigionamenti, ha alimentato anche in Europa un interrogativo (nato negli USA): l’inflazione continuerà a salire e, se sì, quanto durerà?
Il pensiero prevalente è che queste pressioni siano temporanee, destinate a esaurirsi dopo che le economie avranno superato la ripresa post-Covid e l’Europa sarà tornata al suo decennale modello di bassa crescita, bassa inflazione e bassi tassi. Tra gli esperti, tuttavia, incominciano a montare dubbi su questa teoria.
Le tensioni destinate ad aumentare
Robert Lind, economista di Capital Group, ritiene che la pandemia abbia già prodotto cambiamenti nel comportamento dei consumatori e nel clima politico tali che, abbinati alle trasformazioni secolari in atto, porteranno nei prossimi anni a un probabile aumento (tra il 2 e il 3%) dell’inflazione in Europa. L’esperto prevede inoltre che il Pil reale dell’Eurozona aumenterà al 5% circa quest’anno e si attesterà al 4,5% nel prossimo (quello britannico è stimato attorno al 7% nel 2021 e al 5% nel 2022). I tassi d’interesse potrebbero salire in misura moderata, ma dipende da quale approccio avranno le Banche centrali al problema dell'inflazione.
Il cambio strutturale dell’energia
Lind indica sei motivi che nei prossimi anni alimenteranno l’inflazione in Europa, con un’accelerazione della crescita. In primo luogo, i cambiamenti strutturali nell’energia, che manterranno i costi elevati. L’aumento della domanda di energia per alimentare la ripresa è accompagnata da un calo dell’offerta. Per il gas, in particolare, il continente dipende da Russia e Norvegia, dove si sono verificate importanti interruzioni. Un problema aggravato da infrastrutture insufficienti, dal fatto che lo scorso inverno è stato piuttosto freddo (l’Europa non ha quindi accumulato riserve) e dalla lentezza della transizione verso le energie rinnovabili.
L’accresciuta voglia di spesa
Il secondo fattore di spinta è l’accresciuta tendenza a spendere dei consumatori. I risparmi delle famiglie durante i lockdown sono aumentati sensibilmente e ora tornano in circolazione. Il tasso di risparmio delle famiglie europee si è aggirato attorno al 12% dal 2008, per raddoppiare all’inizio del 2020 durante le restrizioni che hanno investito il continente e con il primo intervento di stimolo fiscale da 1,85 miliardi di euro della Bce. Prima del Covid, i consumi erano fortemente orientati verso i servizi, molto meno verso i beni durevoli, soprattutto in Europa e negli Usa. C’è stato, quindi, un cambio e solo il tempo dirà se è strutturale.
La carenza di manodopera
Terzo fattore inflativo è la scarsità di manodopera. In alcuni Paesi è sempre più evidente la carenza di lavoratori e questo rende più probabile una crescita dei salari. Due esempi: nel Regno Unito c’è già stata una forte crescita dei salari e in Germania i sindacati stanno usando toni risoluti in vista della prossima tornata di trattative sui salari in primavera. Durante la pandemia c’è stato un massiccio esodo di forza lavoro dai servizi, fenomeno molto evidente nel Regno Unito, Italia e Spagna. Una parte di questi lavoratori si è spostata verso l’industria manifatturiera: per questo oggi molti settori soffrono di carenze della forza lavoro.
Le difficoltà nelle linee di approvvigionamento
Le difficoltà sul fronte dell’offerta sono più gravi del previsto. Alcuni mercati denunciano già problemi strutturali. Da una parte c’è sempre in agguato la pandemia, con diversi Paesi asiatici che fermano la produzione a causa delle impennate dei contagi, e dall'altra ci sono i forti ritardi nel carico-scarico dei mercantili. La coda di navi in attesa al porto di Felixstowe, che gestisce il 36% circa dei container del Regno Unito, è così lunga che la società di spedizioni svedese Maersk ha deciso di dirottare un terzo delle proprie navi su altri porti. Nel frattempo, focolai di Covid-19 hanno imposto la chiusura di diversi porti internazionali.
La generosità delle politiche fiscali
Quinto fattore che agirà sull’inflazione sono le politiche fiscali che, come risposta alla crisi innescata dalla pandemia, sono oggi nettamente più accomodanti, in linea con gli anni ‘60, quando i Governi erano molto più inclini a utilizzare questo strumento per operare investimenti pubblici. Si tratta di un cambio di rotta, dopo che l’Occidente è stato a lungo interessato da una tendenza decrescente degli investimenti come quota del Pil. I Governi sono consapevoli degli errori commessi dopo la crisi globale del 2007, inasprendo rapidamente la politica fiscale e quindi, secondo Lind, cercheranno in tutti i modi di non ripetere gli stessi sbagli.
I tempi delle Banche centrali per non strozzare la ripresa
Il sesto fattore che pesa sull’inflazione è la politica monetaria, con le Banche centrali che vogliono evitare di alzare i tassi al momento sbagliato, ma dopo avere pigiato a fondo sull’acceleratore e stampando moneta a ritmi mai visti per fronteggiare la crisi. Oggi, secondo l’economista, l’Europa affronta tensioni visibili anche in altri Paesi sviluppati: sembra che la Bce stia pensando di rallentarne un po’ la corsa, mentre la Bank of England sia già pronta a tirare il freno.
Certamente il quadro inflativo suscita più di un timore per questo, secondo l’economista, le due Banche centrali adotteranno un inasprimento prima di quanto i mercati prevedano, e la BoE reagirà più rapidamente rispetto alla Bce. A suo avviso, entrambe decideranno di muoversi con tempestività nella speranza di riuscire a evitare problemi inflazionistici più seri e inasprimenti più aggressivi in seguito, che avrebbero un effetto ancor più penalizzante sulla ripresa economica.