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Inflazione: cambio di regime, si va verso l’attivismo fiscale
La politica fiscale, che col Covid ha preso il sopravvento sulla politica monetaria, sta prendendo il testimone per il controllo dell’inflazione. Un passaggio che rischia di creare conflitti con le Banche centrali e rafforzare il populismo. L’elevato debito pubblico è un freno alla transizione.
Il fantasma dell’inflazione ha sempre condizionato le strategie di tutti gli investitori, i quali da un po’ di tempo sono chiamati però a fare i conti con un cambio di regime nella sua gestione: è infatti in corso il passaggio di testimone dalla politica monetaria al sistema fiscale. Lo sostiene Keith Wade, chief economist & strategist di Schroders, che – pur prevedendo che entro 12-18 mesi le Banche centrali riusciranno a domarla - non si aspetta un ritorno al periodo successivo alla crisi finanziaria globale, quando i policymaker faticavano a generare un’inflazione sufficiente a raggiungere i loro target. Piuttosto, prevede una fase di inflazione più alta e volatile. Lo scenario inoltre già cambia autonomamente: i fattori che hanno spinto finora i prezzi si affievoliscono, mentre si va verso una fase caratterizzata da carenze dell’offerta e da aumenti dei prezzi più frequenti.
Possibili nuovi scenari politici
In questo nuovo regime, la politica monetaria dovrà rimanere impegnata a controllare l’inflazione, lasciando spazio potenziale ai Governi per gestire la crescita o la sua mancanza. Tuttavia, secondo Wade il percorso verso un maggiore attivismo fiscale è impegnativo e rischia di creare seri conflitti con Banche centrali e mercati, come testimoniato nel Regno Unito dopo la debacle del mini-budget. Uno sviluppo che, di riflesso, potrebbe comportare altri cambiamenti più radicali del quadro politico, come l’ascesa del populismo o il cambiamento delle priorità dei Governi. In tal senso, la pandemia è stata la chiave per il ritorno dell’attivismo fiscale, così come i pacchetti di sostegno all’energia ne sono un altro esempio. Una realtà che ha portato molti a chiedere che le autorità siano più attive in altri settori e più disposte a utilizzare la spesa pubblica per risolvere i problemi.
La pandemia ha incoraggiato il populismo
Il Covid-19 sembra aver incoraggiato i populisti e i partiti anti-establishment, che stanno recuperando parte dello slancio perso all’inizio della crisi sanitaria. L’Italia, ad esempio, secondo l’economista è stata precoce in questa tendenza, con la vittoria alle elezioni della coalizione di partiti di destra. In questo contesto, il desiderio di un approccio fiscale più attivo riflette anche il crescente malcontento nei confronti della politica monetaria che, dopo anni di spinta, sembra aver perso efficacia. Senza contare che, mentre la distribuzione della ricchezza si è sbilanciata verso la fascia alta, è aumentata la pressione sulle fasce a più basso reddito. Nonostante queste premesse, Wade si aspetta che nel 2023 le Banche centrali riusciranno a ripristinare una parvenza di stabilità dei prezzi, anche se l’inflazione si rivelerà più difficile da controllare nel nuovo regime.
Il freno è l’elevato debito pubblico
Rispetto al passato, infatti, le sfide per la globalizzazione, dovute alla geopolitica e a una maggiore attenzione alla sicurezza delle supply chain, e la risposta sempre più rapida al cambiamento climatico dovrebbero avere effetti inflativi. L’equilibrio tra politica monetaria e fiscale, insomma, è destinato a spostarsi da una combinazione di politica monetaria allentata e politica fiscale restrittiva, verso una politica monetaria restrittiva e una politica fiscale allentata. Ma, avverte l’esperto di Schroders, sostituire la politica monetaria con una politica fiscale espansiva per stimolare la crescita non è semplice. Il problema è reso più acuto dall’elevato livello del debito pubblico, per cui un aumento dei tassi e del costo del prestito può rappresentare un vincolo significativo per la spesa pubblica. Ed è un problema comune a molte tra le grandi economie mondiali.
Debito pubblico più alto con rialzo dei tassi
Il Fondo monetario internazionale traduce in numeri il problema: il rapporto debito pubblico/PIL per il G20 avanzato è salito nel 2020 a oltre il 130%, con un aumento di oltre il 20% rispetto al 2019. Anche se questa dinamica si sta ora attenuando (il rapporto debito/PIL dovrebbe stabilizzarsi intorno al 125% per il G20 avanzato), in futuro - in combinazione con il passaggio a un nuovo regime di tassi d’interesse più elevati - il costo del debito pubblico è destinato ad aumentare. Nel dettaglio, l’Fmi indica che per il G20 il costo degli interessi passerà dal minimo di poco più dell’1% del Pil dello scorso anno all’1,5% di quest'anno e a quasi il 2% entro il 2025. Ma i mercati potrebbero anticipare queste stime: il recente aumento dei rendimenti dei titoli di Stato a livello globale suggerisce, secondo Wade, che questo valore potrebbe essere raggiunto più rapidamente e risultare più elevato.