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Italia: penultima nell'Ue per investimenti stranieri

Secondo la Cgia l’Italia non è un Paese attrattivo per gli investitori stranieri a causa delle tasse, della burocrazia, dell'incertezza del diritto, di una giustizia civile lenta e poco efficiente, dei tempi di pagamento elevati e di un deficit infrastrutturale spaventoso.

05/12/2019
monete e pianta
Perchè gli investitori stranieri guardano poco all'Italia

L’Italia non è un Paese attrattivo per gli investitori stranieri. Lo dice l’Ufficio studi della Cgia, secondo cui i molti problemi cui sono sottoposti quotidianamente i nostri imprenditori hanno innalzato un’ipotetica barriera d’ingresso che “dirotta” altrove i capitali esteri. Dietro questa disaffezione, spiega l’Associazione di Mestre, con tante tasse, burocrazia asfissiante, poca certezza del diritto, una giustizia civile lenta e poco efficiente, tempi di pagamento della nostra Pubblica Amministrazione tra i più elevati d’Europa e un deficit infrastrutturale spaventoso, “non c’è da meravigliarsi se l’Italia si colloca al penultimo posto nell’Unione Europea per gli Investimenti Diretti Esteri (Ide)”. Nel 2018, infatti, questi ultimi sono ammontati al 20,5% del PIL, pari a 361,1 miliardi di euro. Cifra che colloca l’Italia - tra i Paesi dell’Unione europea monitorati dall’Ocse – solo prima della Grecia, la quale registra un risultato peggiore del nostro.

La politica sottovaluta cultura del sospetto verso le imprese

Alla luce dei pochi investimenti stranieri in arrivo e con quelli che l’Italia potrebbe perdere a stretto giro, il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, si chiede come faccia la politica nazionale a sottovalutare questi segnali preoccupanti per le prospettive economiche del Paese. In particolare, afferma Zabeo, “premesso che, ad esempio, ArcelorMittal, Embraco, Whirlpool e molte altre multinazionali non sono certo delle onlus, ma delle realtà fortemente determinate a perseguire i propri interessi, spesso in barba agli accordi preventivamente sottoscritti con le parti sociali, è altrettanto evidente che le responsabilità di un loro possibile addio vanno ricercate anche in un clima generale di avversione nei confronti delle aziende presenti nel nostro Paese”. In Italia, sottolinea a questo proposito lo studioso, infatti, “si avverte in molti strati della società e della PA una cultura del sospetto verso gli imprenditori che condiziona negativamente la crescita e lo sviluppo”.

La presenza delle holding straniere è importante

Il peso che hanno le holding straniere attive nel Belpaese non è d’altronde indifferente. Anzi, secondo gli ultimi dati Istat disponibili (anno 2017), le multinazionali - ovvero le imprese a controllo estero residenti - sfiorano le 15mila unità, danno lavoro a più di 1,35 milioni dipendenti e producono 572,3 miliardi di euro di fatturato all’anno. Ad evidenziare questo concetto contribuisce il segretario della Cgia, Renato Mason, secondo cui “sebbene siano sempre più diffuse nel settore dei servizi e meno nel comparto industriale, le multinazionali estere sono comunque una componente importante della nostra economia, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto”. Inoltre, l’analista tiene a ricordare “che in termini di lavoro queste realtà occupano direttamente il 6% circa di tutti gli addetti presenti in Italia e concorrono a produrre poco più del 17% del fatturato nazionale”.

Ikea: incertezza e burocrazia bloccano aperture ad Arese e Verona

Come esempio concreto di quello che sta avvenendo nel mondo imprenditoriale e, in particolare, del perché il flusso degli investimenti stranieri nel nostro Paese si stia raffreddando sensibilmente il report della Cgia cita il caso Ikea, “emblematico nell’evidenziare l’avversione culturale che esiste nel Paese nei confronti di chi fa impresa”. La multinazionale svedese ha infatti deciso di rinunciare all’apertura di due nuovi punti vendita da 35-40 mila metri quadri ad Arese e Verona. Sembra, stando ad alcune indiscrezioni, che le motivazioni di questo abbandono siano riconducibili all’incertezza innescata dalla politica, che in più di una circostanza ha ventilato l’ipotesi di non consentire l’apertura domenicale e, in particolar modo per il progetto scaligero, i ritardi e i rinvii accumulati in questi ultimi mesi per l’individuazione dell’area, a seguito dell’elevato numero di adempimenti burocratici ed amministrativi sorti nel frattempo.

Gli investimenti esteri premiano ancora il settore produttivo

Nel 2017, dei 372,1 miliardi di euro di Ide presenti in Italia, il 27,8% circa (103,4 miliardi di euro) era concentrato nel manifatturiero (soprattutto nei settori alimentare/bevande, autoveicoli, metalli e prodotti di metallo). A seguire c’erano le attività professionali, scientifiche e tecniche, in parte ascrivibili a consulenze aziendali varie, che incidevano per il 21,4% (79,5 miliardi) e poi il commercio e l’autoriparazione con il 10,8% (40 miliardi). Da segnalare, inoltre, che gli ambiti dove la presenza pubblica è più forte erano anche quelli dove si sono registrati i livelli più bassi di investimenti diretti esteri. È il caso del settore artistico con 742 milioni, di quello riferito all’acqua, reti fognarie e rifiuti con 401 milioni e nella sanità/assistenza sociale con 110 milioni di euro.

A cura di: Fernando Mancini

Parole chiave:

imprese investitori stranieri cgia burocrazia
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