- SEI UN CONSULENTE FINANZIARIO AUTONOMO?
- Scopri i vantaggi del nostro servizio
Re dollaro non è intenzionato ad abdicare
Nonostante i tanti commenti e proclami dedicati al riequilibrio del mercato valutario fondato sull’ampliamento del raggio d’azione dell’euro e sul nuovo ruolo egemone che la Cina e lo yuan potrebbero avere nel medio termine, la saga dell’usd appare lontana dalla sua conclusione.
In un report di recente pubblicazione, il team di Morgan Stanley ipotizza che la crescita mondiale dei prossimi cinque anni si troverà a fare i conti con la scadenza di un’enorme quantità di titoli denominati in usd.
Nonostante il processo di deleverage intrapreso da alcuni paesi dopo l’inizio della crisi economico-finanziaria nel 2008, i dati dimostrano che questo processo è stato più che compensato dall’incremento registrato dal debito pubblico, dalle emissioni societarie e dai debiti contratti dai nuclei familiari in Cina, nei restanti paesi emergenti e in alcune aree del Vecchio Continente. In altre parole, il debito netto mondiale ha continuato la sua crescita. Una buona parte di questo debito è stato emesso in usd, un fattore che rende più complicato lo scenario internazionale e aggiunge rischio e instabilità al quadro d’insieme.
In questo periodo, tutta la pressione sembra ricadere sugli Stati Uniti e la Federal Reserve. Il primo rialzo del costo del denaro dopo quasi dieci anni è arrivato nel dicembre del 2015. La decisione si è rivelata sufficiente a scatenare forti turbolenze sui mercati. In un mondo sempre più globalizzato, le sofferenze di larga parte del pianeta finirebbero per interessare lo stesso paese che applica il ritocco. Questa è una delle ragioni alla base della prudenza mostrata da Janet Yellen in tutte le riunioni del Fomc.
Anche se l’economia statunitense potrebbe resistere senza troppi patemi d’animo a nuovi rialzi dei tassi d’interesse, la Fed non può fare a meno di vigilare su quello che accade nel resto del mondo, in particolare in quei paesi che hanno una quota rilevante del proprio debito denominato in dollari Usa. Una delle ragioni che impedisce alla Fed di procedere verso la normalizzazione della sua politica monetaria consiste proprio nei timori di trasmissione di un’ondata di panico che si propaghi attraverso il biglietto verde.
Per altro verso, prende sempre più forza la preoccupazione che il mantenimento di tassi d’interesse artificialmente bassi per periodi di tempo prolungati possa alimentare la propensione dei paesi a indebitarsi con emissioni espresse in valuta Usa e amplificare gli squilibri internazionali.
La Bis (Bank for International Settlements) ha recentemente lanciato un allarme sul ruolo che la valuta Usa potrebbe avere nell’esacerbare l’instabilità dei mercati. Il prolungamento del già lungo periodo di tassi Usa ai minimi storici non farà altro che far lievitare l’indebitamento globale espresso in Usd. Sembra proprio che non ci siano soluzioni indolore per liberasi da questa trappola, che potrebbe condizionare negativamente l’economia nel medio termine.
Il graduale rafforzamento dell’economia a stelle e strisce trasforma il paese nell’unica realtà nazionale in grado di reggere l’urto di un potenziale rafforzamento del dollaro nell’attuale contesto di indebitamento globale. Alcuni potrebbero pensare che un mercato valutario più diversificato (in questo mercato il 90% delle transazioni avviene in usd e il 60% del debito emesso al di fuori dei confini Usa è denominato in Usd) sarebbe un fatto positivo ma non in grado di risolvere in toto il problema derivante dal fatto che il dollaro viene considerato da buona parte del pianeta una sorta di ancora di salvataggio.