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Tre record a Wall Street
Le operazioni di buyback sono alla base dei nuovi massimi raggiunti dagli indici azionari a stelle e strisce.
Giovedì 11 agosto 2016 è successo qualcosa che non succedeva dal 1999: i principali tre indici dell'azionario statunitense, il Dow Jones industrial, il Nasdaq composite e l'S&P 500, hanno chiuso tutti e tre ai massimi storici.
Nella stessa giornata il Dow e l'S&P 500 hanno superato anche i propri massimi intraday. Questo evento di per sé è ovviamente statisticamente abbastanza irrilevante, ma non si può fare a meno di notare la coincidenza che lega la fase attuale al periodo probabilmente di maggiore mania per l'investimento azionario nella storia.
La settimana scorsa abbiamo visto che alcuni segmenti legati all'It sono oggi forse l'unico vero tema growth sul pianeta, in quanto l'economia digitale sta ormai pervadendo qualsiasi interstizio di business. Questo fenomeno ovviamente presenta serie ripercussioni sulle performance generali dei mercati, favorendo non poco le sovraperformance del listino americano rispetto al resto del mondo. È interessante infatti notare che, ad esempio, fino al 1997 il Footsie 100 britannico e l'S&P 500 presentavano una solida correlazione, senza che nessuno dei due indici fosse in grado di mettere a segno significative sovraperformance rispetto all'altro; da allora, però, gli investitori in equity statunitense hanno goduto di chiari vantaggi. E l'esempio britannico non è scelto comunque a caso, in quanto l'economia del Regno Unito è ritenuta più vicina come struttura a quella degli Usa.
La grande differenza però è che il benchmark britannico mostra un peso solo dell'1,5% dell'It a fronte di circa un quinto della sua controparte americana. A questo valore si deve aggiungere un 15% circa del comparto cura della salute, un'altra autentica macchina da guerra quanto a innovazione e profitti. In pratica finora nessuna economia occidentale sembra che sia stata in grado di traslare la rivoluzione tecnologica in corso in margini elevati quanto l'America.
Vanno però aggiunti alcuni elementi non certo di poco conto: oggi rispetto al 1999 siamo in una fase di crescita, per il mondo e gli Usa, molto più lenta. Basti pensare che il Pil nominale del paese crebbe nel triennio 1998-2000 di qualcosa come il 6,1% all'anno, valore che negli otto anni che vanno dalla fine del 2007 a quella del 2015 è sceso al 2,7% circa. Ovviamente la crescita reale dell'economia è stata ancora più lenta.
Una buona parte dell'aumento degli Eps è stato poi ottenuto con i circa 2 trilioni di dollari in riacquisto di azioni proprie a partire dal 2009, una cifra che non ha eguali in nessun'altra parte del mondo. Nonostante ciò, l'andamento dei profitti generale nell'ultimo biennio sembra essersi arenato: basti pensare che il secondo trimestre del 2016 ha visto il quinto calo annuale degli utili (-3,5% circa allo stato attuale), un evento che non succedeva dal 2008-2009. Inutile dire che in un quadro come quello attuale le quotazioni azionarie sono tutt'altro che invitanti.
Infine a essere profondamente cambiata ovviamente è stata la politica monetaria, statunitense e non solo: nel 1999-2000 sulla Fed regnava Alan Greenspan che a fine decade aveva provato a operare una politica monetaria anti-ciclica, peraltro inducendo uno dei più brutali bear market di sempre nel triennio 2000-2002.