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Bund e Dax per puntare sulla Germania
La Germania è sempre più leader di un'Eurozona che stenta a crescere, che non ha una vera guida comune e che non riesce a mettere insieme quel decollo economico di cui avrebbe un'estrema necessità. Ciò nonostante molti analisti sono convinti che l'Europa sia ancora una storia value e che possa fornire buone opportunità agli investitori. Ma se proprio si deve investire sul Vecchio Continente, vale la pena puntare sull'economia principale? Vediamo i due elementi chiave dell'investimento teutonico: il Bund e il Dax.
Il decennale tedesco ormai è diventato il vero tasso risk free del mondo. L'avvio disastroso delle borse azionarie nei primi giorni del 2016 ha spinto questa obbligazione all'ennesima, incredibile fase di bull market. Se a fine 2015, inizio 2016 i rendimenti a scadenza di questo strumento oscillavano intorno allo 0,65-0,7%, nei giorni post-Brexit si è arrivati al massimo storico delle quotazioni con l'yield to maturity sceso a -0,2%.
Da allora il processo ha visto una parziale inversione con una rapida risalita a settembre sopra la soglia di otto punti base di rendimento, cui ha fatto seguito una sessione che ha riportato il livello del decennale a un solo punto base.
Come si può capire si tratta dell'andamento tipico del Bund degli ultimi anni: a sempre più irrealistici nuovi massimi, si accompagna una volatilità e una volatilità della volatilità a tratti enorme. Il futuro da questo punto di vista non promette scenari tanto positivi, per chi si è caricato di esposizione al benchmark della duration europea.
Sono in molti a considerare che il reddito generato da un Bund decennale e da una banconota di 100 euro è esattamente lo stesso (zero) e allora perchè gli investitori dovrebbero acquistare un'obbligazione con rendimento negativo piuttosto che detenere liquidità? Inutile ricordare che un processo, anche parziale, di uscita dai Bund, provocherebbe terremoti sui mercati terrificanti.
Nel parlare invece dell'azionario, occorre partire da una considerazione: negli anni 2000 sono ben pochi i listini equity nel mondo sviluppato che possono vantare rendimenti pari a quelli tedeschi, nonostante la forte volatilità che da sempre accompagna la piazza di Francoforte. Il Dax 30 è infatti passato da meno di 3.000 ai minimi di inizio 2003, alla fine della crisi delle dot com, a oltre 12.400 nell'aprile del 2015. Una ripresa spettacolare che però è stata accompagnata da numerosi bear market, l'ultimo avvenuto fra gennaio e febbraio scorsi.
La Germania, dietro l'Italia, ha il secondo rapporto più basso fra capitalizzazione dell'equity e Pil, che a fine agosto si posizionava poco sopra il 40%. Il benchmark principale del paese ha solo 30 azioni, che però coprono oltre un trilione di euro di capitalizzazione su circa 1,44 trilioni complessivi a fine agosto, per un totale di 551 titoli quotati. Come si può capire, l'equity germanico dipende in gran parte da una quantità decisamente ridotta di aziende, in molti casi autentici gioielli tecnologici.
Il problema è che tutto sommato sono pochi i gruppi con un forte focus tecnologico in settori ad alta crescita, titoli peraltro premiati quest'anno dagli investitori. Per il resto nel Dax circa il 13% della capitalizzazione è data da banche e vari servizi finanziari, notoriamente in condizioni non facilissime, circa il 10% dall'auto, che si deve ancora riprendere dagli scandali dell'anno scorso, e circa il 20% da industriali, di eccellente caratura ma danneggiati dal pessimo andamento degli investimenti in giro per il mondo.
Messa così non sorprende che il Dax, in un anno di grandi aspettative per quanto riguarda le azioni europee, abbia alla seconda metà di settembre messo a segno una perdita di circa il 3% nel 2016, un valore comunque sempre migliore rispetto all'oltre 6% lasciato sul terreno dallo Stoxx 600.