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Mercati, tre scenari per il futuro prossimo
Mercoledì 12 ottobre, il management di Samsung Electronics ha annunciato che il definitivo abbandono delle vendite del proprio phablet più costoso e avanzato, l'ormai famigerato Note 7, costerà circa 2,3 miliardi di dollari di minori profitti. Contemporaneamente Ericsson, colosso svedese dell'equipment per telecomunicazioni, ha visto un crollo delle quotazioni delle proprie azioni di circa il 16%, scendendo ai minimi degli ultimi otto anni, a causa di un profit warning sui risultati del trimestre appena trascorso. Nel frattempo Apple, in caduta libera fino a pochi mesi fa sui mercati, è tornata ai massimi del 2016. Ieri, infine, sono stati pubblicati i risultati di Alcoa, gigante dell'alluminio i cui utili di solito danno il via alle trimestrali statunitensi. Il fatturato del gruppo è calato del 6%, peggio del 5,1% previsto degli analisti, un risultato che ha fatto scendere l'azione del 6,2%, nonostante profitti complessivi in crescita.
Questo esempi servono a fornire un quadro di un mercato piuttosto volatile, o meglio decisamente nervoso e ossessionato da un solo pensiero: la crescita. Il fenomeno è in sé comprensibile: con un'economia globale che resta appesa a poche nicchie in forte espansione, gli investitori si concentrano su tutto ciò che promette di portare espansione di fatturati e utili, spesso pagando multipli non indifferenti. Ma quando arrivano cattive notizie, il nervosismo si fa immediatamente sentire: martedì 11 ottobre Wall Street ha ha visto la peggiore sessione del mese perdendo oltre l'1%. Contemporaneamente il Vix, il principale indice americano che raccoglie la volatilità implicita quotata sulle opzioni dell'S&P 500, ha visto una rapida salita sopra il livello di 15 per la prima volta in ottobre.
Se ci spostiamo sul fronte dei mercati europei, vediamo due dei maggiori benchmark continentali, Dax e Stoxx 600, che sono fondamentalmente chiusi in un trading range piuttosto stretto da un paio di mesi. Una certa pesantezza da settembre a questa parte la sta dimostrando anche l'Msci emerging markets, che sembra che stia formando una mini correzione. Come si può capire, si tratta di movimenti non certo enormi: alla fin fine i listini sono molto più vicini ai massimi annuali (nel caso dell'equity statunitense a quelli assoluti) che ai minimi, comunque una certa aria da fine ciclo si sente. Non sorprende che il team di ricerca di Bank Of America Merrill Lynch abbia pubblicato nei giorni scorsi un report sui rischi di una recessione americana nel 2017, ovviamente non scontata dall'azionario a questi livelli. Sicuramente molto dipenderà dalle guidance che usciranno dalle aziende nei prossimi mesi: se esse dovessero mostrare un irrobustimento della domanda, anche non clamoroso ma tangibile, allora le preoccupazioni sull'infinita saga del rialzo dei tassi Usa, con l'annesso corollario di un dollaro in rafforzamento, passerebbe abbondantemente in secondo piano.
Altrimenti probabilmente conviene prepararsi per tempo a quelli che potrebbero essere scenari poco piacevoli: nei prossimi giorni vedremo come. Nel frattempo anticipiamo che essenzialmente oggi gli investitori si trovano a gestire tre diverse possibilità: una recessione vera e propria con un pesante e prolungato bear market azionario, una continua nervosa stagnazione e una seria ripresa. Appare scontato dire che ciascuna delle tre opzioni prevede strategie fondamentalmente diverse.