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L’esperimento indiano
L’accelerazione degli investimenti pubblici indiani in infrastrutture sta aiutando a mantenere alta la fiducia degli investitori esteri e sta avendo un impatto positivo sugli investimenti privati nel paese.
In un momento in cui i dubbi per lo scenario economico mondiale, indipendentemente dalla direzione in cui lo si osservi, lievitano a marce forzate, il primo ministro indiano, Narendra Modi, è riuscito a isolare il paese dalle turbolenze che si sono insinuate in ogni angolo del mercato finanziario internazionale, ricorrendo al lancio di un profondo processo di riforme destinato a cambiare radicalmente il sistema che ha retto le sorti del paese per molti decenni.
Modi ha assunto la guida del Governo di Nuova Delhi nel 2014 ed ha approntato in tempi stretti un programma economico che contempla la modernizzazione delle città, la creazione di corridoi industriali e la costruzione di una rete di treni ad alta velocità per puntare a trasformare una larga fetta della popolazione indiana in ‘classe media’. Negli ultimi mesi, le misure introdotte dal capo del Governo si sono spinte ancora più in là: durante la prima settimana di marzo sono state introdotte alcune misure destinate a supportare l’attività degli agricoltori, che rappresentano ancora oggi il 70% della popolazione indiana, al fine di duplicarne il reddito medio entro il 2020 e trasformarli nel nuovo motore dei consumi interni.
La sfida di Modi è ambiziosa. Il key factor determinante per il successo dell’operazione è l’incremento del potere d’acquisto della popolazione senza provocare rialzi sensibili dell’inflazione. La combinazione di questi due elementi è fondamentale per capire se la sua visione economica è realmente differente da quelle dei Governi che hanno guidato in passato il secondo paese più popoloso del pianeta. Indipendentemente dalla sorte che toccherà al piano di Modi, il paese sembra avere le carte in regola per sostituire la Cina nel ruolo di traino della crescita planetaria Quest’ultima è un’ipotesi difesa da molti economisti e gestori, che vedono nelle potenzialità dell’India l’unico viatico per ravvivare la stagnante crescita prevista per i prossimi anni.
Lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato come le misure positive di tipo politico, unite alla caduta dei prezzi del petrolio, hanno rappresentato una combinazione molto favorevole per l’economia domestica. L’Fmi sottolinea la capacità di ripresa indiana a dispetto dello sfavorevole scenario globale e della una lenta ripresa degli investimenti. Le stime messe a punto dall’Fmi indicano una variazione del Pil del 7% per l’anno fiscale in corso e del 7,5% per il prossimo anno. Non mancano i fattori di rischio: tra quelli citati dall’FMI ricordiamo la necessità per gli investimenti di riprendere slancio, la pressione esercitata sul sistema bancario dai prestiti più rischiosi e i venti contrari all’export derivanti dal calo della domanda globale.
A differenza di altre economie emergenti importatrici di greggio, in India la contrazione delle quotazioni ha creato margini per un aumento della spesa e degli investimenti interni. Il minore peso della bolletta petrolifera ha contribuito a migliorare il dato della bilancia fiscale e di quella dei pagamenti. Non ultimo, il sensibile calo del petrolio ha provocato una riduzione delle pressioni inflazioniste. Molti benefici, senza ombra di dubbio.
L’insieme di questi motivi fa sì che l’India sia una delle poche economie emergenti che potrebbe sperimentare un’accelerazione della crescita nel 2016. La sua velocità di crociera dipenderà dalla capacità di assorbire manodopera e aumentare il livello di flessibilità economica, due fattori che confermeranno –o meno- la ripartenza degli investimenti privati.