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La fine di un'era
Alla fine è successo quello che ai più pareva impensabile: l'elezione a presidente degli Stati Uniti d'America di Donald John Trump. Va detto subito che l'implausibilità di tale eventualità era più percepita che reale. Non a caso lo statistico oggi più famoso del mondo, Nate Silver di Five thirty eight, aveva più volte sottolineato che i sondaggi mostravano una varianza elevatissima nelle previsioni, così come il fatto che bastava un errore assolutamente nella media storica per portare il magnate televisivo e immobiliare alla Casa Bianca, senza contare l'elevato numero di elettori ancora indecisi.
Cosi in effetti è stato. In particolar modo a distruggere le chance di Hillary Clinton è stato il Midwest operaio e in crisi, nonché ricco di elettori di origine europea, che hanno votato in maniera identitaria, non diversamente da quelli che sono ormai da decenni i pattern delle minoranze fedeli al Partito democratico.
Mentre scriviamo ancora non sappiamo quali saranno i risultati definitivi: ci sono discrete probabilità, infatti, che Trump esca vincitore dalla conta dei voti dei delegati, ma sconfitto in quella del voto popolare, ulteriore segno di un paese diviso sempre più profondamente secondo linee etniche, di classe sociale e persino di genere.
Ovviamente i mercati finanziari hanno reagito con quello che può essere definito come un vero e proprio attacco di panico: a un certo punto, sia il future sul Nasdaq 100, sia quello sull'S&P 500 sono stati sospesi per eccesso di ribasso, con il Dow Jones che lasciava sul terreno circa 700 punti, salvo poi recuperare con forza dai minimi della nottata. Alla stessa maniera il dollaro è risalito parecchio contro l'euro, portandosi intorno a 1,11 dai massimi oltre 1,13 della notte.
Siamo quindi di fronte a volatilità pura, acquisti e vendite altamente speculativi, situazioni psicologiche in rapido e continuo e mutamento e tutti i poco piacevoli eventi che si hanno a fronte di un'esplosione del rischio politico.
Perché di ciò si tratta: la storia più importante di questi ultimi anni è costituita dal progressivo ritorno sulla scena di un elettorato sempre più rabbioso, con una rabbia a volte incanalata verso partiti e movimenti politici di sinistra e altre volte di destra. In entrambi i casi, però, appare chiaro un rifiuto del processo di globalizzazione in atto, con il suo corollario di scardinamento di molti modi di vivere considerati tradizionali.
Di fronte a tutto ciò la reazione dei mercati, sotto forma dei grandi investitori istituzionali, così come dei maggiori gruppi di potere in generale, è stata a dir poco inadeguata. Un po' perché nessuno aveva quantificato la portata del fenomeno, un po' per il fatto che i tradizionali strumenti di gestione del rischio appaiono a dir poco obsoleti di fronte agli sviluppi degli ultimi anni.
In questo ambito, per quanto riguarda il futuro, si può essenzialmente scommettere in due direzioni diametralmente opposte: da una parte si può essere convinti che forse oggi stiamo assistendo al picco del populismo e che quindi sostanzialmente ogni calo sia un'occasione per comprare, così come i periodi di volatilità particolarmente contenuta costituiscono occasioni per spendere il proprio budget di copertura del rischio. Dall'altra parte invece vi è l'approccio opposto, che vede l'evoluzione di questi anni come qualcosa ancora in divenire e destinato a incidere profondamente sugli equilibri del mondo.
Probabilmente la seconda ipotesi è quella più valida: se infatti la Brexit poteva essere stata un incidente di percorso dovuto a una situazione locale, un'elezione di un presidente come Trump, che si è mosso al di fuori di qualsiasi schema predefinito in passato in tale competizione, rappresenta una rottura assoluta.
La realtà ovviamente è che nessuno davvero oggi ha la più pallida idea di ciò che accadrà: non pare però irragionevole pensare che i tempi futuri saranno molto più difficoltosi e probabilmente forieri di rendimenti sistematicamente più contenuti rispetto a questo decennio di quantitative easing.