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Hedge fund e fondi private equity, ecco le differenze
Dopo essere stati accusati di essere addirittura i colpevoli della lunga crisi iniziata nel lontano 2007, e a dispetto dei crolli del 2008-2009, negli ultimi anni i fondi alternativi (detti anche speculativi, utilizzando un termine di per sé negativo) sono tornati prepotentemente alla carica.
A livello globale sia le masse gestite, con una significativa accelerazione nell’ultimo biennio, sia le buone performance hanno spinto il patrimonio complessivo dei fondi hedge a superare quota 3.000 miliardi di dollari. Ma quali sono le caratteristiche di questi strumenti?
Generalmente se la maggior parte dei fondi comuni e delle sicav ha l’obiettivo di replicare un benchmark di mercato, secondo la tipologia di investimento, i fondi alternativi puntano invece a generare un rendimento che non è correlato ad alcun indice di riferimento e che teoricamente dovrebbe essere superiore a quello raggiungibile dagli altri strumenti che si limitano a replicare l’indice.
In sintesi, i fondi alternativi presuppongono un elevato investimento minimo richiesto (250 mila euro per gli investitori privati), danno una pressoché totale libertà di movimento sui mercati ai gestori, anche se l’investimento azionario è quello predominante, e offrono la possibilità di assumere posizioni attraverso l’utilizzo della leva finanziaria. Una delle strategie più comuni utilizzate dai money manager alternativi è appunto andare short, cioè realizzare un profitto quando scendono i prezzi.
In gergo tecnico questo sistema si definisce “vendita allo scoperto”, in altre parole vendere un titolo azionario che non si possiede (perché qualcuno, in genere le banche d’investimento, lo concede in prestito provvisoriamente), per poi riacquistarlo in seguito e guadagnare sulla discrepanza di prezzo. Questo sistema permette di realizzare un investimento (anche di medio-lungo termine) per scovare profitto sulla possibilità che un titolo perda valore, poiché si presume che il valore al quale si riacquisterà in futuro sarà inferiore al prezzo di vendita.
Altra cosa sono i fondi di private equity, che per parecchi anni sono stati indicati come il male assoluto del mondo della finanza e non per niente venivano definiti fondi locusta. Poi, specie negli ultimi anni, questi strumenti hanno assunto un peso sempre maggiore nel panorama economico. In sintesi i fondi di private equity sono fondi mobiliari chiusi che raccolgono capitali da privati e istituzionali, come banche, fondazioni, compagnie di assicurazione e fondi pensione al fine di investirli in aziende non quotate che evidenziano secondo le loro analisi un alto potenziale di crescita. Nella gran parte dei casi l’obiettivo di questi veicoli d’investimento è sostenere sia nella fase di start up, sia nei periodi critici lo sviluppo delle società per poi trarne profitto, spesso attraverso la quotazione in Borsa.
Quindi i fondi di private equity vantano un’anima ambivalente: le loro quote possono essere acquistate da un investitore privato che vuole diversificare il portafoglio allocando i propri denari in uno strumento assolutamente decorrelato dai mercati e, al tempo stesso, questi fondi possono rivelarsi interessanti per gli imprenditori alla ricerca di partner in possesso dell’expertise, della familiarità con i network internazionali e, soprattutto, della liquidità indispensabili per crescere in uno scenario sempre più complicato per la presenza di nuovi player sul mercato internazionale, come gli emerging in generale e Cina e India, in particolare. Un fattore da non trascurare nella patria delle piccole e medie aziende, che da sempre, tuttavia, evidenziano un’atavica sottocapitalizzazione.