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Sempre meglio Wall Street di Francoforte
La settimana scorsa avevamo visto che il mercato azionario statunitense, sotto forma di S&P 500, ha visto a partire dalla fine del 2007 una netta prevalenza nelle performance rispetto al Dax 30, che rappresenta le principali blue chip germaniche e quindi uno dei migliori benchmark azionari dell'intera Europa.
Ciò nonostante, un indice molto più variegato e stabile, come quello di Wall Street, ha mostrato una sovra-performance rispetto al meglio dell'Europa: dalla fine del 2007 a oggi il Dax è salito di circa il 32%, mentre l'S&P 500 ha messo a segno una performance pari al 50%. Se ci spostiamo verso tempi recenti e supponiamo di avere investito su ciascuno dei due indici alla fine di ogni anno, i guadagni cumulati ottenuti con l'S&P 500 sono i seguenti: +144% (dal 2008), +98% (dal 2009), +75% (dal 2010 e dal 2011), +55% (dal 2012), +19% (dal 2013), +9,4% (dal 2014), +7,8% (dal 2015). Per il Dax invece si ha: +32% (dal 2007), +121% (dal 2008), +79% (dal 2009), +54% (dal 2010), +80% (dal 2011), +40% (dal 2012), +11,4% (dal 2013), +7,5% (dal 2014), e una leggera perdita da fine 2015.
Come si può vedere, la spinta propulsiva dell'indice tedesco si è esaurita di fatto a fine 2007. Anche avendo investito al termine del 2008, ai picchi della crisi finanziaria, si sarebbe comunque avuta una performance cumulata inferiore rispetto a quella dell'equity statunitense, non contando però i dividendi, che vanno compensati con il fatto che da allora l'euro è entrato in un lungo mercato ribassista,. L'unico fine anno in cui sarebbe convenuto entrare sul listino tedesco è stato alla conclusione del 2011, dopo un'annata particolarmente disastrosa per l'intera Europa.
Va notato un ulteriore elemento: il mercato azionario statunitense ha sovraperformato quello tedesco anche dalla fine del 2013. Si tratta di un punto importante, perché allora il Qe americano era già in fase calante e i multipli dell'equity dello Zio Sam erano già non particolarmente amichevoli, mentre l'Europa stava iniziando una ripresa economica accompagnata poi dal Qe di Draghi.
Ciò nonostante, la parte migliore dell'economia europea non è riuscita a tenere il passo con gli Usa. È molto probabile che alla base di questo andamento vi siano ragioni strutturali: una maggiore base di investitori, per di più disposti a pagare multipli più alti, una più ampia presenza di aziende concentrate in settori ad alta crescita, una più elevata diversificazione che consente di perdere meno nelle fasi difficili.
Va detto però che un grosso test verrà fornito dal processo di rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve, accompagnato da probabili maggiori deficit futuri di bilancio e da aspettative di inflazione. Ricordiamo infatti che le ultime due manovre di rialzo da parte della Banca centrale statunitense hanno portato poco dopo a una grossa crisi dei mercati.
Ovviamente non sappiamo se il passato sia destinato a ripetersi, ma va ricordata una cosa: in tutti gli anni 2000 sono state proprio le fasi di forte volatilità e di crisi che hanno fornito la base per le sovraperformance, così come d'altro canto anche quelle più quiete e a bassa volatilità.
L'unico scenario in cui si può ragionevolmente pensare che l'Europa torni a sovraperformare gli Usa è dato dal caso in cui la sua crescita economica riuscisse finalmente ad andare a pareggiare quella americana, in uno scenario però rialzista. Gli ultimi anni hanno infatti visto assottigliarsi sempre più la distanza fra l'andamento del Pil statunitense e quello europeo. Ciò però è avvenuto in un contesto di crescita storicamente ai minimi negli Usa, a causa anche di una minore vivacità demografica.
Gli Usa “europeizzati” o «giapponesizzati”, però, sono pur sempre in grado di traslare il loro modesto andamento in una migliore efficienza aziendale rispetto all'Europa. Le imprese del Vecchio continente si trovano complessivamente in una posizione di svantaggio, nonché di maggiore dipendenza dal ciclo globale. Ovviamente ci sono incertezze, quali gli effetti del super-dollaro, il rischio politico di un'amministrazione non testata e la maggiore leva a livello di bilanci in Usa. Salvo cambiamenti radicali, però, è possibile affermare che oggi l'Europa potrebbe costituire la parte corta di qualsiasi posizione market neutral si voglia intraprendere sul mercato azionario globale.
E la regola vale anche nei confronti dei mercati emergenti.