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Gennaio alla grande
È finito il primo mese dell'anno che, notoriamente, almeno così vuole la vulgata, dovrebbe essere un buon indicatore di ciò che succederà nei rimanenti 11 mesi. In realtà ovviamente ci sono notevoli eccezioni: basti a pensare a quanto è successo l'anno scorso in cui si è andati incontro a una semi-crisi finanziaria.
Stando ai dati parzialissimi, fino ad adesso il 2017 è cominciato in maniera non molto differente rispetto a come si era chiuso il 2016, con una volatilità molto bassa (a parte le paure sull'andamento delle banche italiane) e in conformità ai trend che erano stati previsti. In particolare andiamo a vedere qualche indice azionario: a gennaio l'S&P 500 è salito dell'1,8% e, se ci muoviamo in Europa, troviamo che lo Stoxx 600 è rimasto praticamente invariato, con qualche frazione percentuale in negativo in valute locali, mentre in dollari si sarebbe incassato un +1,3%. Se ci muoviamo nell'ambito dei paesi emergenti, scopriamo che l'Msci Emerging Markets, il principale benchmark di settore che raccoglie le più importanti aziende dei maggiori 24 mercati di questa asset class, si è rivelato una vera e propria star, segnando +5,45% in dollari a gennaio e +3,95% in valuta locale.
Come si può vedere, l'Europa mantiene una certa distanza dal resto del mondo, ma questa si è per il momento ridotta. E per quanto riguarda il confronto con gli Usa, era stato ipotizzato che migliori prospettive europee potevano esserci solamente nel caso di una sovraperformance del comparto bancario rispetto all'equity generale del Vecchio continente e con il Brent a quota 60 dollari.
Quest'ultimo punto ancora non è stato realizzato: il benchmark del greggio è riuscito a salire finora solo a 55, mentre lo Stoxx 600 bancario nel primo mese dell'anno è in effetti cresciuto in maniera molto più robusta del mercato in generale, piazzando una performance del 4,1% in valute locali e 5,5% in dollari. Il risultato sarebbe stato ancora migliore, se non fosse stata per l'ultima settimana del mese (in cui è stato perso quasi il 3% dai picchi del 26 gennaio) a causa di un ritorno di timori sul comparto.
Nei sette giorni immediatamente precedenti la fine del mese, infatti, le azioni del Vecchio continente avevano annullato completamente il gap con le controparti americane. È quindi probabile che un consolidamento del trend di ripresa degli istituti di credito e un piccolo rafforzamento del petrolio riuscirebbero nell'impresa, confermando l'analisi precedente.
Ad apparire sorprendente è la forte ripresa degli emergenti, anche se in questo caso il recupero dei corsi dell'oro nero e in generale di molte materie prime ha spinto lo scenario verso la tesi di una ripresa ciclica robusta, in grado quindi di favorire gli emerging market. E se andiamo a osservare il breakdown all'interno di questa asset class, si scopre che le migliori performance sono state ottenute rispettivamente da Brasile e Polonia (entrambi sopra il 10% di rendimento in dollari), seguiti da Perù (+9%), Corea del sud e azioni H cinesi, che hanno registrato circa +7%. Le Filippine poi sono l'unico altro listino che con +5,75% ha sovraperformato, anche se di poco, l'indice generale.
In pratica, come si può vedere, gli investitori hanno puntato soprattutto su un turnaround value, incarnato dalle materie prime latino-americane e dall'apparato industriale del nord-est dell'Asia, quest'ultimo favorito dalle buone prospettive di ripresa globale e da valute sottovalutate, nonché sul pezzo più competitivo di Europa orientale.
Curiosamente è mancata in questo trend la Russia (-0,3%), insieme a Egitto e Grecia le uniche piazze nel gruppo ad avere registrato performance negative.