- SEI UN CONSULENTE FINANZIARIO AUTONOMO?
- Scopri i vantaggi del nostro servizio
La Fed sgonfia la fame di Treasury
Non vi è dubbio che la riduzione costante della domanda estera di titoli di stato potrebbe avere ripercussioni a lungo termine sulla capacità degli Stati Uniti di finanziarsi a costi relativamente bassi
Per ora, la domanda domestica è stata capace di assorbire la diminuzione dei volumi di titoli venduti all’estero. Il rendimento del Treasury decennale ha seguito un andamento relativamente stabile, restando confinato nel range 2,3%-2,5% negli ultimi mesi. Nonostante ciò, i dubbi sulla tenuta delle quotazioni dei titoli governativi tenderanno ad aumentare se la Federal Reserve adotterà misure tese a ridurre il suo bilancio proprio in concomitanza di un sentiment negativo verso i Treasury in voga presso gli investitori stranieri.
Trump ha più volte rivolto a Cina e Giappone, i due più importanti creditori del paese, accuse di aver svalutato volontariamente le rispettive divise per conseguire vantaggi commerciali. Il neopresidente Usa dovrebbe, tuttavia, prestare maggiore attenzione alla cura dei rapporti con i due giganti asiatici. Il rischio ‘orientale’ per gli Usa non è tanto la svalutazione dello yen e dello yuan, ma ‘l’arma nucleare finanziaria’ che si nasconde nel possesso di ingenti quantità di Treasury bond.
In Giappone, che è il principale possessore di Treasury bond (possiede volumi totali leggermente superiori a quelli sottoscritti da Pechino), gli investitori istituzionali hanno portato a termine le più elevate vendite nette di government bond degli ultimi quattro anni. Il fenomeno non ha interessato solo gli investitori nipponici. In tutto il mondo, gli stranieri stanno riducendo la propria esposizione verso il debito Usa a ritmi mai sperimentati fino a questo momento.
Da Tokio a Pechino, passando per Londra, il consenso appare chiaro: pochi investitori stranieri sono interessati ai 13.900 miliardi di titoli di stato Usa che circolano nel mercato finanziario mondiale. La prospettiva di un deficit pubblico in aumento, di un tasso d’inflazione al rialzo e di un’accelerazione del processo di normalizzazione dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, stanno facendo perdere appeal al debito Usa (che un numero sempre più elevato di investitori percepisce non più come risk free). A questo bisogna aggiungere l’effetto non proprio positivo imputabile a dichiarazioni pubbliche infelici del neo presidente Trump.
Il nuovo trend si traduce in un minor interesse per i Treasury (rispetto a quello famelico evidenziato in particolare da cinesi e giapponesi negli ultimi anni) e non in un abbandono delle posizioni in portafoglio (che continueranno ad assorbire quote rilevanti della componente obbligazionaria dei portafogli degli investitori istituzionali). Gli investitori esteri conservano ancora ben 5.940 mld di usd di Treasury (corrispondenti al 43% del volume totale di debito Usa (anche se il dato odierno rappresenta una sensibile caduta rispetto al 56% detenuto nel 2008).
In caso di ulteriore ritirata dall’asset class, Washington sarebbe la prima a dover fare i conti con un aumento del costo di finanziamento del debito, ma il trend potrebbe danneggiare sensibilmente –a causa del calo delle quotazioni dei titoli ospitati nei portafogli e delle riserve di divisa- anche i principali possessori di Treasury (Cina e Giappone).