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L’esperimento nipponico
Il Giappone è uno dei paesi industrializzati con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza. La BoJ sta cercando di mitigare il fenomeno con la politica monetaria?
Il coefficiente di Gini è prossimo a 33 (un valore 0 corrisponde all’uguaglianza perfetta e 100 a una situazione in cui tutta la ricchezza è detenuta da un solo individuo). Il dato nipponico è molto lontano da quello di paesi che possono fare affidamento su un reddito pro-capite simile a quello del Giappone. L’unica eccezione è rappresentata dagli Stati Uniti, dove il coefficiente di Gini è superiore anche a quello del paese del Sol Levante.
La Banca centrale giapponese è da alcuni anni impegnata in un programma di stimoli monetari che non sembra in grado di produrre gli effetti desiderati sui prezzi al consumo. Nonostante ciò, l’economia nipponica continua ad essere una delle più sviluppate e innovative al mondo e gode di un tasso disoccupazione (3,1% l’ultima rilevazione) da fare invidia alla maggior parte degli altri paesi industrializzati.
Questi dati mettono in discussione il massiccio intervento monetario della Bank of Japan, tanto che alcuni analisti si sono spinti a ipotizzare che l’obiettivo reale di Kuroda (il governatore della BoJ) non è il rilancio dell’inflazione e della crescita ma la lotta alle profonde disuguaglianze intergenerazionali che premeano la società giapponese.
La lunga permanenza dei tassi nipponici nelle vicinanze dello zero, servirebbe proprio a cercare di ridurre le disuguaglianze generate dagli investimenti in titoli di stato e obbligazioni denominate in yen. I massicci acquisti di titoli di stato operati dalla BoJ nel corso degli ultimi anni, hanno fatto sprofondare il rendimento annuo di queste obbligazioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, si trovano nei portafogli degli investitori di età avanzata e a reddito elevato.
Se la Bank of Japan riuscisse a centrare un’inflazione medio annua dell’1,5% nei prossimi quindici anni e il rendimento medio dello stock di emissioni obbligazionarie nei portafogli dei privati si mantenesse intorno allo 0,2%, il valore reale di tali assets si ridurrà del 20%. Questo risultato farà sentire i suoi effetti proprio su quella fascia di popolazione che attualmente detiene la maggior parte della ricchezza.
In questo modo la Bank of Japan punta a ridistribuire la ricchezza mediante la riduzione dei rendimenti prodotti dal capitale investito (in questo caso in obbligazioni) fino a livelli inferiori alla crescita dell’economia (in termini nominali). Se l’inflazione cresce ad un ritmo dell’1,5%, i lavoratori potrebbero essere messi nelle condizioni di negoziare salari più elevati (tenendo conto anche del buon supporto offerto dallo scenario di piena occupazione in cui si trova il mercato del lavoro domestico). Nello stesso periodo, i rendimenti ottenuti dai capitali (almeno quelli investiti in bond) sarebbero inferiori al tasso di crescita dei salari e a quello dell’inflazione.
I titoli di stato nipponici sono posseduti soprattutto da investitori locali, il debito estero del paese è relativamente piccolo se messo a confronto con quella di altri paesi. Per altro verso, la Bank of Japan possiede circa il 42% di tutto lo stock di debito pubblico in circolazione. In siffatto contesto, qualsiasi cambio intervenuto sul livello dei rendimenti, influenzerà la disponibilità complessiva dei cittadini più facoltosi.