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America latina a due marce
L’America latina continua a trovare spazio nei portafogli degli investitori. Anche se il suo peso tra gli EM e’ progressivamente diminuito per lasciare spazio ad altri mercati, i paesi della macroregione sono ancora in grado di ritagliarsi un ruolo importante
La regione sta attraversando un periodo non facile a causa della recessione in Brasile, che resta la principale economia dell’area. Il gigante sudamericano deve fare i conti con una fase di rallentamento che ha portato alla luce tutte le debolezze del sistema paese (corruzione a tutti i livelli) ed ha riportato in auge il tema dell’inflazione (vecchio nemico del paese). In termini di asset allocation, l’evoluzione dell’economia brasiliana ha avuto un impatto significativo sulla struttura dei portafogli dei fondi comuni d’investimento focalizzati sui mercato latinoamericani, determinando uno spostamento di flussi dai listini azionari verso il segmento obbligazionario.
Relativamente alla componente azionaria, sono i titoli bancari a fare la parte del leone. Itau Unibanco, istituto di credito brasiliano, è sempre presente in una delle tre posizioni di rilievo detenute dai fondi, seguito dal competitor domestico Banco Bradesco e dall’istituto di credito messicano Banorte. Altri titoli quasi sempre presenti nei portafogli dei fondi comuni sono quello della società brasiliana Ambev (bibite), la messicana America Movil (Telecomunicazioni); la brasiliana Vale (materie prime).
Il decennio dorato degli elevati prezzi delle materie prime e gli ingenti flussi di denari diretti verso l’America latina si è esaurito e, parallelamente, si sta facendo più profonda la breccia tra i paesi della costa del Pacifico, più dinamici ed aperti, e quelli dell’Atlantico, più protezionisti e burocratici. Se durante i primi anni del nuovo millennio –il periodo più influente del chavismo- la regione ha presentato una divisione in termini politici tra Governi conservatori e di sinistra, attualmente la rottura è prevalentemente commerciale tra due grandi blocchi: l’Alleanza del Pacifico (Cile, Perù, Colombia e Messico) e il Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela).
Quali le ragioni alla base di queste differenze? Secondo l’IIF, l’alleanza sta dimostrando di essere più resistente alla crisi, riflette un compromesso fermo con il modello basato sul libero mercato (che ha adottato) e, in particolare, trae beneficio dalla credibilità di cui gode a livello internazionale. Il Mercosur può cambiare in un arco di tempo non lungo ed aprirsi ai mercati internazionali, ma per ora va abbastanza lento. L’Alleanza nasce da interessi pragmatici, alimentata dalla comunità imprenditoriale dei paesi membri e non da un progetto esclusivamente politico.
Molte cose separano i due blocchi. L’Alleanza del Pacifico, creata nel 2011, ha scommesso sull’economia di mercato e sugli accordo di libero scambio con Usa, Europa e Asia. Il gruppo può inoltre contare su una maggiore fiducia degli investitori internazionali e degli istituti che erogano credito. Infine, i Governi locali hanno mostrato, negli ultimi anni, una tendenza meno accentuata a cadere nella demagogia.
Al contrario, le tre grandi economie del Mercosur –fondato nel 1991- sono più interventiste e vengono percepite come meno propense al libero scambio e agli investimenti internazionali. I Governi populisti di Argentina e Venezuela, inoltre, hanno seri problemi per controllare l’inflazione e per raccogliere capitali. In quanto alla spesa sociale, i paesi del Mercosur superano a quelli dell’Alleanza del Pacifico. Anche se gli enormi aiuti statali hanno consentito a molte persone di liberarsi della povertà estrema, i programmi pubblici non hanno rappresentato un reale cambiamento degli squilibri nella distribuzione del reddito procapite e nelle opportunità offerte ai singoli cittadini.