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Mercati, un'assicurazione contro l'immobilismo

24/03/2017

Sugli Usa e sul resto dell'economia globale, a parte forse la Cina dove le autorità sembrano avere ben chiaro cosa fare, vi sono oggi non indifferenti rischi politici. Con essi però non si intende il significato dell'espressione nell'accezione diventata comune in questi ultimi anni, ossia l'ascesa di movimenti politici estremisti degli ultimi decenni, contrari all'assetto economico e sociale. Al contrario il maggiore rischio politico è oggi forse l'immobilismo, l'incapacità di riuscire ad attuare il programma pro-crescita che è stato promesso ai mercati. In particolar modo il discorso non può non incentrarsi sugli Stati Uniti d'America e in particolare sul dollaro, che oggi, contro yen ed euro, può essere visto come una sorta di barometro della fiducia nel paradigma attuale.

Questo 2017 doveva essere l'anno del biglietto verde, tanto che non erano pochi gli analisti che prevedevano una rottura della parità contro l'euro. Così finora non è stato: la moneta americana si è infatti leggermente indebolita un po' contro tutti, incluse le divise di diversi pesi emergenti.

I movimenti in realtà non sono stati così rilevanti, vista la volatilità sul Forex di questi anni: essenzialmente infatti basterebbe un nonnulla per ristabilire pienamente il trend e il paradigma del dollaro forte. È interessante però notare che oggi, a differenza di altre volte nel passato, si è ristabilita una correlazione positiva molto evidente fra andamento degli asset rischiosi in tutto il mondo e la forza del biglietto verde.

Prima della crisi finanziaria non era così: insieme allo yen, il dollaro era diventato la principale sorgente di carry trade in un periodo storico in cui, a livello macro e di andamento dei mercati, l'iniziativa era soprattutto in mano agli emergenti.

Oggi invece è l'America che dovrebbe tornare a dettare il passo, con magari l'aggiunta della continua ascesa dei consumi cinesi. Non a caso per la prima volta da tempo immemorabile la Fed ha assunto il ruolo di Banca centrale più severa del mondo. Appare abbastanza pleonastico aggiungere che, di fronte a un mancato upgrading del tasso di crescita statunitense, probabilmente molte cose verrebbero riviste da parte della Fed, specialmente in un'era post-Yellen.

A questo punto però viene da chiedersi perché valga la pena puntare proprio contro il dollaro vs euro e yen per proteggersi dalle conseguenze di una crisi globale da mancata accelerazione della crescita, invece che magari comprare put sull'S&P 500. Innanzitutto le due monete selezionate sono le più liquide a livello di volumi, a parte la sterlina su cui però pende l'incognita Brexit. La risposta per il resto risiede in alcune caratteristiche stocastiche mostrate dalla volatilità del biglietto verde rispetto al mercato azionario.

La volatilità valutaria è aumentata a livelli folli durante la crisi finanziaria, dopo anni di movimenti costanti e mono-direzionali (dollaro debole, forte tutto il resto). Da allora è cominciato un lento declino interrotto a fine 2014, in cui l'aumento della volatilità, sia realizzata sia implicita, ha coinciso con l'esplosione del nuovo bull market della moneta statunitense, seguito da un trend di nuovo declino che però non può cancellare un elemento fondamentale: la volatilità sul Forex è comunque più elevata rispetto a 10 anni fa e non ha seguito il trend di collasso che si è visto a livello di implicite, e ancor più di realizzate, sull'S&P 500.

In pratica è vero che in termini assoluti le put sull'azionario non costano tanto, ma altrettanto non si può dire rispetto ai premi relativi a quanto normalmente si vede sull'equity statunitense in termini di oscillazioni. Mentre al contrario a livello di cambi siamo in un momento di calma all'interno di una fase storica di notevole turbolenza.

Nel concreto, se l'economia Usa deludesse e la borsa cominciasse a crollare, la Federal Reserve con ogni probabilità invertirebbe la propria politica monetaria per sostenere di nuovo la baracca. Avrebbe successo una simile manovra? Difficile rispondere, appare ragionevole pensare però che il dollaro non avrebbe altra possibilità se non indebolirsi.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

immobilismo dollaro Yen euro
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