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Tre mesi di bond
È certamente interessante fare un breve consuntivo del primo trimestre del 2017 per quanto riguarda il complesso del reddito fisso a livello globale, al termine di un periodo che vedeva molti rischi per l’intero settore. In generale si è visto uno sviluppo di rendimenti e quotazioni più lineare rispetto all'equivalente sul mercato azionario. Cominciamo con il dire che, a parte la prima posizione in classifica, il bull market storico di questa gigantesca macro-asset class è finito, anche se comunque vi è stata una certa stabilizzazione dopo le prime caotiche settimane che hanno fatto seguito all'elezione di Trump. Non vi è stato infatti un grosso salto nel livello dei rendimenti quotati sui mercati.
Detto ciò, andiamo ad analizzare la posizione di leadershhip, in termini di crescita, del primo trimestre, che è stata occupata dai bond emergenti in valuta locale, il cui valore però è calcolato in dollari. Nel primo quarto del 2017 chi avesse investito su questo segmento in media avrebbe ottenuto il 5,7%. Si tratta di un guadagno enorme per i tempi attuali dell'obbligazionario. Nel corso del 2016 i rendimenti complessivi della medesima asset class erano stati pari al 9,9% (sempre in dollari), anche se va detto che la prima parte dell'anno era stata semplicemente disastrosa per tale mercato.
Dunque sembra che prosegua il paradigma di riabilitazione di molte economie emergenti, sulla base dell'idea che proprio in questo ambito si trovano attività a spread ancora decenti con in più un effetto di ricalibrazione valutaria non indifferente.
Al secondo posto, e in questo caso (come gli altri che andremo a vedere) parliamo di cifre espresse in valute locali, vi sono gli high yield globali, che hanno fornito il 2%. Si tratta di una performance più che accettabile: il 13,8% di total return fornito l'anno scorso da questo insieme con ogni probabilità risulterà un'aberrazione generata dalla fantastica ripresa dell'interesse degli investitori nei confronti del comparto energetico statunitense.
Al terzo posto troviamo i subordinati finanziari con +1,2%, in linea con quanto messo a segno nel 2016 (+5,4); probabilmente, però, anche in questo comparto il grosso delle opportunità turnaround value è già passato.
Fra le scommesse peggiori, non sorprendentemente, troviamo i governativi europei. Il complesso dei Bund ha visto performance negative dell'1,3%, peggio dei Treasury americani, fermi a -0,4%. È notorio che fra i due insiemi vi è un effetto di sostituzione nei portafogli degli investitori istituzionali più rilevanti, anche se a frenare un po' il flusso di capitali da una parte e dall'altra è l'aggressività della Fed, per certi versi inattesa fino a poche settimane fa.
Il tempo ci dirà se vale la pena cominciare a scommettere sull'ennesimo duration play, visto lo scarto di rendimento fra emissioni dai 10 anni in su americane e tedesche e il grado di ripidità della curva americana stessa. Qualche prodromo comincia a vedersi, visto anche il nervosismo sui mercati azionari indotto dalle tensioni politiche e dal rischio di non attuazione del programma di Trump.
Per quanto riguarda però l'Europa si segnalano come peggiori membri in assoluto della grande famiglia obbligazionaria i titoli di stato di Spagna e Italia, rispettivamente con un -2,2% e -3,3% da inizio anno a fine marzo 2017. Come si può notare, in generale i mercati finanziari spagnoli vengono pesantemente differenziati rispetto alla loro controparte italiana.
Per quanto riguarda l'allargamento degli spread italiani, alla fine di un bull market enorme durato quattro anni, ci sta anche che attività notoriamente ad alto beta come i nostri Btp possano soffrire. C'è però da tremare al pensiero di ulteriori tapering da parte della Bce.