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Eccellenza scandinava
La Svezia è uno dei pochi paesi dell’UE che è riuscito a recuperare e superare i livelli di Pil pro-capite anteriori alla crisi. Il risultato è stato ottenuto grazie alle riforme realizzate negli ultimi decenni
Questi dati, sommati ad altri indicatori economici di primo piano, hanno spinto gli economisti dell’OECD a domandarsi come un paese di queste dimensioni possa distanziare di molto i suoi vicini europei.
Nonostante il sensibile incremento dei flussi migratori e dell’elevato indice di natalità, il tasso di occupazione staziona stabilmente al di sopra dell’80%, superato solo da quelli di Islanda e Svizzera. La produttività per ora di lavoro sta crescendo a tassi superiori alla media registrata nei paesi industrializzati. L’ultima rilevazione effettuata da Eurostat, relativa al 2016, evidenzia un progresso del 2,4%, mentre nell’Eurozona il progresso è stato dello 0,9%, in Danimarca dello 0,5%, in Germania dell’1,2% e in Finlandia dello 0,3%. L’OECD crede che questi dati impongano una verifica sui fattori che rendono, in una fase come quella attuale, così fiorente un’economia piccola e aperta, che dipende in larga parte dal commercio con l’estero.
Stoccolma rappresenta una lodevole eccezione anche nell’ambito scandinavo. La Norvegia sta incontrando non pochi ostacoli per recuperare il ritmo di crescita anteriore alla crisi, anche a causa del calo del prezzo del barile. Per altro verso, la Finlandia continua a fare i conti con una mini-crisi caratterizzata dalla combinazione tra bassa crescita e disoccupazione crescente.
L’OECD ritiene che sia complesso attribuire a uno o pochi fattori il buon comportamento dell’economia svedese, tuttavia, pone l’accento sull’importanza delle riforme avviate negli anni ’90, che avrebbero supportato lo sviluppo di un tessuto imprenditoriale ben diversificato. Parallelamente alle riforme, il paese ha continuato a implementare una rete di sicurezza sociale tale da fomentare la ‘crescita inclusiva’.
Le autorità di Stoccolma hanno rivoluzionato il mercato del lavoro domestico negli anni ’90. Il cambio principale riguardò l’accelerazione delle politiche attive del lavoro, incrementando continuamente gli incentivi all’inclusione alla partecipazione al mercato del lavoro. La riduzione delle prestazioni ‘passive’ a vantaggio dei disoccupati è stata gradualmente sostituita dal coinvolgimento in piani di riqualificazione dei lavoratori per facilitarne il reinserimento in tempi brevi nel mercato.
In passato, il governo svedese ha fatto spesso ricorso a politiche anti-cicliche che puntano ad ammorbidire la curva del ciclo economico mediante la leva fiscale e quella della spesa pubblica. Tra il 1998 e il 2008, si sono verificati solo due anni chiusi in deficit, sempre inferiore all’1,5% del Pil. Con l’arrivo della crisi finanziaria, il paese ha potuto fare affidamento su un cuscinetto sufficiente a mettere sotto controllo il deficit ed evitare il rischio di compromettere i conti pubblici. Nel periodo 1998-2008,le autorità sono riuscite a ridurre il ratio debito/Pil dal 66,8% al 37%, un calo di circa 30 punti e del 41,4%.
Questi risultati sono stati realizzati senza provocare scossoni alla distribuzione della ricchezza. Il coefficiente di Gini mostra un incremento della disuguaglianza negli ultimi anni, tuttavia, le differenze tra i redditi continuano a rimanere sui livelli più bassi del Vecchio Continente (soltanto la Norvegia, l’Islanda e la Slovacchia presentano una distribuzione più equa).