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I mercati dopo la vittoria di Macron
Alla fine Emmanuel Macron ha ottenuto una vittoria più netta delle previsioni (oltre il 66% dei voti) e non sorprendentemente la reazione dei mercati europei, sia a livello azionario, sia obbligazionario e valutario, è stata tiepida, nonostante il nuovo presidente fosse largamente il candidato preferito dall’intero apparato finanziario. Si tratta del classico caso in cui il grosso della notizia era già stato scontato, in quanto nessuno si aspettava sorprese.
Meno prevedibile, invece, la forte salita delle borse asiatiche, con il Kospi e il Nikkei sopra di oltre il 2%. Va detto che ciò si inserisce in una fase di forte ritorno di fiducia su queste piazze, ulteriormente spinta dall'allontanamento, tassello dopo tassello, dello spettro del protezionismo.
Al di là di ciò, il vero tangibile vantaggio per gli asset rischiosi europei con ogni probabilità verrà dall'eliminazione di una variabile difficilmente gestibile e quantificabile qual è il rischio politico. In poche parole sarà più facile oggi concentrarsi sui fondamentali economici del Vecchio continente: il rischio politico finora ha fornito una sorta di alfa negativo alle performance dell'equity continentale, mentre opposto è il discorso per quanto riguarda l'obbligazionario. D'ora in poi i rendimenti futuri dovrebbero dipendere sostanzialmente dal beta applicabile nei confronti dell'economia.
Il tutto però con un dubbio: abbiamo visto di recente che attualmente oggettivamente non ci sono le condizioni per un nuovo crash, quanto meno fintanto che i tassi di interesse resteranno a livelli infimi. Allo stesso tempo, però, ci sono ragioni per dubitare che i prossimi anni saranno esplosivi. In pratica vi è il fondato rischio che complessivamente le borse dei paesi sviluppati vadano a sottoperformare l'evoluzione economica (vale il discorso inverso per quanto riguarda quelle asiatiche).
Con ciò è bene chiarire un elemento: non è affatto detto che le performance saranno scadenti o anche peggiori rispetto a quelle degli ultimi anni, in verità uno scenario non dei più probabili almeno in Europa. È però alquanto probabile che, con un Pil in accelerazione, il quadro positivo influisca relativamente meno nei confronti dei corsi delle aziende quotate, con la possibilità dunque di un modesto derating.
E qui crudamente dobbiamo ricordare un mondo che è andato in crisi come conseguenza di un modesto rialzo dei tassi nel 2007, situazione cui si è rimediato con la creazione di ulteriore debito, favorito da un abbattimento storico del costo del denaro, che però oggi sta tornando in crescita.
Ribadiamo: se la combinazione di spesa pubblica, domanda privata e tassi di interesse dovesse rimanere comunque con le caratteristiche attuali, sarebbe improbabile vedere forti scossoni sui mercati. Ma se le aspettative dovessero risultare parzialmente deluse e il Pil dovesse rimanere sostanzialmente quello cui siamo abituati, non è irragionevole prevedere che si manifesterà una crisi finanziaria.
Questa, però, prevedibilmente non sarà caratterizzata da forti crolli, estrema volatilità, nuova correlazione di tutti gli asset rischiosi al ribasso vs i Treasury statunitensi: il rischio, forse persino più insidioso, è vedere per lunghi anni performance contenute a livello di equity.
Se questo scenario si dovesse avverare, sostanzialmente non resterebbe che una precisa scelta a livello di asset allocation: essere costretti ad abbracciare una maggiore componente tattica di breve/medio periodo, sia a livello di scelte azionarie, sia di allocation obbligazionaria.