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Pil pro capite, una crescita minima e troppo concentrata
In una fase in cui è fondamentale capire se ci troviamo di fronte a una vera ripresa globale, è utile tornare a occuparsi di temi macroeconomici, il che consente di scoprire qualche risultato sorprendente. Nello specifico, per i nove anni che vanno dall’inizio del 2008 alla fine del 2016, cioè il periodo post-boom di inizio millennio, è interessante calcolare i Pil pro capite per una serie di paesi. Con questi dati si individua l'andamento dell'economia nella divisa locale al netto dell'inflazione e diviso per le oscillazioni demografiche.
In questo lavoro, compiuto per oltre una cinquantina di nazioni, balzano subito agli occhi alcune evidenze: a parte pochissime eccezioni, gli ultimi nove anni sostanzialmente sono stati persi da parte del mondo. Anche paesi apparentemente solidi hanno visto, al netto del numero di abitanti spesso in crescita per via dell'invecchiamento, della cittadinanza e dell'immigrazione, vere e proprie crisi.
Ora è abbastanza intuitivo capire che il Pil rappresenta una proxy delle condizioni di vita della gente, ma al tempo stesso vi sono forze che tendono ad ampliare la disuguaglianza e a portare un accumulo della componente profitti rispetto a quella data dai salari. Pertanto un Pil pro capite rimasto stagnante in termini reali con ogni probabilità si tradurrà in un evidente calo delle condizioni di vita per il cittadino mediano.
Detto ciò, vediamo qualche esempio, partendo dall’Europa e specificatamente dall'area nordica, additata fra le meglio gestite del mondo. Si scopre per questo grappolo di nazioni che in realtà l'unica economia ad avere visto un minimo, ma proprio un minimo, di crescita è stata la Svezia, il cui Pil pro capite è aumentato cumulativamente del 5,7% in nove anni (e di più del 13% a livello nazionale). Meno bene la Danimarca (-4,7%), la Finlandia (-7,7%, l'economia peggiore del Nord Europa) e la petrolifera Norvegia (+1,5%), che a malapena si è tenuta a galla.
Scendendo alle estremità opposte del continente, troviamo il collasso sud-europeo. In Grecia è stato infatti lasciato sul terreno più di un quarto del Pil pro capite, mentre l'Italia ha visto un calo complessivo del 7,8%, ma con una discesa a livello individuale superiore al 12%. Meglio sono andati Spagna (-3,9%) e Portogallo (-2,7%). Va peraltro specificato che le performance disastrose del Sud Europa sono state compensate da una popolazione stagnante o in calo (l'eccezione è l'Italia dove comunque il totale degli abitanti è salito del 4,2% in nove anni), mentre quelle positive del Nord sono state smorzate dall'arrivo di una grande quantità di immigrati, europei e non.
Se ci spostiamo nel mezzo del continente, troviamo che la Francia è rimasta pressoché invariata rispetto a nove anni fa, mentre Belgio, Olanda e Svizzera sono cresciute fra lo 0% e l'1%. L'Austria ha fatto poco meglio: +1,2% cumulativamente.
Come si può vedere, anche i sistemi più moderni e meglio organizzati d'Europa hanno visto miglioramenti inesistenti, se non addirittura ampi peggioramenti per i propri cittadini intorno alla fascia mediana. Pure il Regno Unito, da molti additato (giustamente) come la più moderna delle economie europee, ha messo a segno una crescita pro capite cumulata infima (+2 circa) in nove anni.
A mostrare il migliore andamento è stata (surprise!) la Germania, che ha registrato +9% circa di aumento totale del Pil pro capite. È interessante notare che l'aumento complessivo (+9,3%) è stato molto simile: fino all'arrivo di un milione di richiedenti asilo nel 2016, infatti, la Repubblica Federale era una nazione in pieno declino demografico, ma comunque capace di estrarre sempre più produttività dal proprio parco di lavoratori.
Non sorprendentemente l'Est Europa ha continuato nella propria marcia di avvicinamento alll'ovest, anche se con intensità diverse. Se il tasso di crescita di Repubblica Ceca e Slovacchia, paesi già ad alto reddito, è da considerare soddisfacente anche se non entusiasmante (+8,2% e +21,3%), Romania (+19)% circa) e Bulgaria (+18%) crescono ancora troppo lentamente, visto il loro grado di sviluppo. A dominare il panorama dell'est è stata la stella Polonia (+31%), in assoluto l'economia a maggiore crescita pro capite dell'Ue.
E con questo si arriva al punto fondamentale: la ricchezza, all'interno di un panorama comunque stagnante, sta andando a concentrarsi non solo in un numero sempre minore di mani, ma anche in una quantità di luoghi geografici sempre più ristretta. Probabilmente il fenomeno a sua volta si riproduce all'interno delle varie regioni di ciascuna nazione presa in considerazione.
Questo fenomeno rischia di avere effetti devastanti per la tenuta dell'intera Europa e del mondo in generale, in cui ormai il problema non si riduce più a un distacco fra Nord e Sud Europa, ma sostanzialmente fra Germania e suoi immediati satelliti a est e il resto dell'Ue.