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Immobili, qualche pericolo dai rialzi dei tassi
Sono passati dieci anni dai primi segnali preoccupanti lanciati dal mercato immobiliare statunitense nel 2007. La sua esplosione provocò un’ondata di default societari nel settore industriale e si estese al sistema finanziario globale.
L’economia Usa registrò una contrazione del 3,1% nel 2009 e il tasso di disoccupazione si impennò fino a livelli tali da far temere una recessione prolungata. Uno degli effetti più eclatanti e unici della bolla fu la contrazione uniforme delle quotazioni degli immobili in tutto il territorio statunitense (fatto mai accaduto durante le precedenti crisi, caratterizzate da andamenti disomogenei delle quotazioni nei distinti Stati dell’Unione). In alcuni stati –la California su tutti- il calo dei prezzi arrivò a toccare il 70%.
L’esplosione della bolla del settore immobiliare negli Stati Uniti e le sue ripercussioni sull’industria finanziaria del paese sono stati i due elementi che hanno causato la crisi del 2007 (quella che il mondo intero sta ancora oggi cercando, faticosamente, di lasciarsi alle spalle). Uno degli indicatori più attendibili di normalizzazione dell’economia è dato dall’avvio di una fase di rialzo del costo del denaro decisa dalla Banca Centrale Usa, che potrebbe portare il tasso di riferimento fino all’1,5% entro la fine del 2017.
Le politiche monetarie non convenzionali e i tassi zero hanno avviato la ripresa economica, l’occupazione e ridato slancio all’acquisto di case, consentendo al nuovo ciclo economico di riportare la normalità perduta. La ripresa è stata talmente continua e graduale da riportare le quotazioni su livelli non lontani da quelli pre-crisi. Tuttavia, da qualche mese il mercato immobiliare statunitense comincia a mostrare segnali di saturazione.
Gli analisti che si occupano del settore hanno evidenziato che sul recupero delle quotazioni hanno inciso anche altri fattori, in particolare la domanda degli investitori internazionali. I bassi tassi di interesse e le incertezze politiche hanno rappresentato altri fattori a supporto dei prezzi delle case, visti dai più come valida alternativa alle magre cedole offerte dai Treasury Bond. La combinazione di questi elementi ha svolto un ruolo fondamentale a supporto degli acquisti di immobili, in particolare nel comparto commerciale e nelle grandi città.
Alla domanda sui potenziali effetti che il rialzo del costo del denaro produrrà sul settore immobiliare, la maggior parte degli esperti tende a rispondere ipotizzando che stavolta la reazione nelle distinte aree potrebbe essere nettamente disomogenea. Boston, New York, Los Angeles e San Francisco vengono considerate zone in grado di reggere anche agli urti provocati da un’accelerazione del ritmo della stretta monetaria da parte della Fed.
Alcuni gestori sono addirittura ottimisti sul destino dei REIT’s, veicoli che consentono di investire nel mercato immobiliare domestico. In passato, questi veicoli hanno sempre reagito positivamente ai rialzi del costo del denaro voluti dalla Federal Reserve. Se il rialzo dei tassi è conseguenza di un miglioramento dell’economia reale, questo trend dovrebbe apportare benefici al mercato immobiliare in quanto un numero crescente di persone (e famiglie) potrà permettersi di avere una casa (in locazione o di proprietà). A sua volta questo si potrebbe trasformare in un incremento degli utili conseguiti dai REIT’s compreso tra il 6% e il 7% (con conseguenze positive sui dividendi erogati). Il dividend yield potrebbe portarsi a ridosso del 4%, rendendo questi veicoli particolarmente interessanti.