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Inflazione, il mistero dei mercati

08/08/2017

Qualche giorno fa è stato pubblicato il dato sull'inflazione al consumo nell'Eurozona, che ha fornito alcune indicazioni interessanti sull'attuale (latitante) processo di ripresa dei prezzi. Se si dà infatti un'occhiata agli outlook per la seconda metà dell'anno delle maggiori istituzioni finanziarie, siano esse società di gestione o grandi istituzioni bancarie, sostanzialmente ci si continua  interrogare sullo stesso tema: perché la ripresa economica, accompagnata in alcune delle economie major quali Usa, Germania e Giappone da un’apparentemente piena occupazione, non si traduce in dinamiche salariali e di aumento dei prezzi più in linea con la media storica?

Una prima risposta può arrivare dal combinato di nuove tecnologie e fattori demografici, che stanno rendendo molto difficile, se non impossibile, un significativo aumento del Pil nominale. In questo contesto l’elemento interessante è l'ostinazione con cui molti investitori istituzionali sembrano volersi incaponire su modelli del passato. Infatti un refrain comune sembra prevedere sorprese positive a livello di Cpi dagli Usa nei prossimi mesi. Con il corollario di una Fed possibilmente più aggressiva rispetto a quanto le ultime uscite abbiano abituato e conseguenti dolori per chi è esposto a duration governativa (titoli di stato a lungo termine). Il tutto spesso accompagnato da propositi di investimento sui Tips a più lunga scadenza, che dovrebbero vivere una nuova fase positiva grazie a un futuro ribilanciamento, al rialzo, delle aspettative di inflazione.

Ovviamente poi la maggiore vivacità statunitense dovrebbe trasmettersi anche ad altre parti del resto del mondo, Europa in primis. Per quanto riguarda quest'ultima, però, dai dati di luglio si continua a evincere il solito andamento: complessivamente l'inflazione al consumo è infatti cresciuta nel Vecchio continente, secondo i dati preliminari di luglio, dell'1,3% su base annua. Si tratta di un rialzo dello 0,1% rispetto al valore registrato a giugno. Il dato core, che esclude la componente cibo ed energia, ha mostrato un rialzo dell'1,2%, anche in questo caso con un aumento dello 0,1% in confronto a un mese prima e rispetto alle attese.

Se ci spostiamo invece sulla parte generata dalle commodity, si vede che i prezzi delle risorse energetiche siano saliti del 2,2% rispetto al +1,9% di giugno, grazie alla ripresa del petrolio. Un andamento simile si è registrato anche in campo alimentare. In pratica, come si può capire, in linea peraltro lo standard vigente ormai da 10 anni, l'aumento dei prezzi deriva da shock esterni e non da un processo organico e stabile nel tempo.

Tutto sembra indicare che il fenomeno continuerà nel tempo. Non stiamo dicendo che saranno solo le materie prime a spingere su il costo della vita, ma che invece di avere un circolo virtuoso (o vizioso, se siete tedeschi) costituito da maggiore domanda che porta a più alti salari che a loro volta generano ulteriore domanda, ci dovremo affidare a fenomeni contingenti e limitati in questo ambito.

L'inflazione nel futuro magari potrà anche tornare a mostrare numeri complessivi meno anemici, probabilmente però continuerà a essere generata da poche nicchie temporanee di vivacità a fronte di un sistema stagnante se non a rischio di deflazione. Ciò non vale solo per elementi esogeni quali il petrolio, ma anche per la componente salari. Prendiamo le due maggiori economie del mondo, Usa e  Cina. Gli Stati Uniti hanno visto negli ultimi anni diverse iniziative locali, soprattutto cittadine, per alzare a livelli molto elevati la paga minima (in alcuni casi 15 dollari l'ora), azioni poi frenate dal cambio di clima politico. La Cina ha visto un vertiginoso incremento del costo del lavoro manifatturiero, che ha visto un forte rallentamento nell'ultimo biennio, a causa della deflazione/semi-recessione industriale che il paese ha vissuto.

Il risultato è che prevedere l'aumento dei prezzi diventerà sempre più difficile e sostanzialmente inutile, vista l'aleatorietà del tutto. La conseguenza maggiore di tale fenomeno sarà un ulteriore aumento della volatilità del mercato dei cambi rispetto al resto dei listini, un argomento sul quale varrà la pena tornare.

A cura di: Boris Secciani

Parole chiave:

inflazione Europa Usa salari
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