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Fondi auriferi, più ombre che luci
Abbiamo visto recentemente che per un risparmiatore europeo che avesse puntato sull’oro l’investimento sarebbe stato sicuramente mediocre, in quanto il ribasso del dollaro sull’euro avrebbe mangiato di fatto tutti i guadagni che il metallo giallo, che è quotato nella moneta americana, ha evidenziato dall’inizio dell’anno.
Ma è indubbio che nel settore aurifero c’è un certo ottimismo, anche a causa delle crescenti tensioni geopolitiche che la vicenda nordcoreana sta portando: quanto più c’è insicurezza nel mondo, tanto più il bene rifugio per eccellenza si apprezza.
A questo punto vale la pena porsi una domanda: conviene investire in un fondo comune aurifero che, si badi bene, non punta sul metallo giallo, ma sulle azioni delle imprese che estraggono oro, in pratica le società proprietarie di miniere? Per investire invece direttamente sull’oro fisico bisogna comprare un Etc (exchange traded commodity).
Gli elementi positivi e negativi sono diversi.
L’andamento dei mesi passati. Anche con l’oro che recentemente ha avuto una performance brillante in dollari, passando da quota 1.152 di inizio anno agli attuali 1.295 dollari all’oncia, i fondi auriferi non hanno dato risultati particolarmente brillanti: nello stesso arco di tempo, a parte un solo strumento che, pur essendo quotato in euro, ha dato una modesta performance dello 0,88%, la totalità dei fondi dall’inizio del 2017 ha avuto ritorni negativi, anche con il dollaro come valuta di quotazione. Si va da un minimo di perdita del 2% a un massimo del 12%.
Ad avere determinato questa débâcle è stato chiaramente l’andamento dei titoli delle maggiori società di miniere, che non hanno risentito dell’incremento delle quotazioni della materia prima che estraggono. A differenza del petrolio, le cui variazioni di prezzo incidono immediatamente sulle quotazioni delle azioni delle compagnie minerarie, nell’oro questo fenomeno è molto più lento.
L’andamento dell’oro. Anche se, come si è visto, il legame tra quotazioni delle azioni aurifere e corsi del metallo prezioso non è così stretto, sul lungo periodo un rapporto non può non esserci. Se l’oro cominciasse a salire in maniera netta, indubbiamente le maggiori società estrattive avrebbero concreti vantaggi e i loro bilanci migliorerebbero sensibilmente.
Ma stabilire quanto oggi il metallo giallo possa salire non è facile. La maggior parte dei gestori non prevede particolari bull market di questa commodity e si va da previsioni intorno a 1.350 dollari all’oncia a 1.200.
A rilanciare i corsi potrebbero essere alcuni eventi negativi, come una crisi conclamata degli Stati Uniti e di conseguenza del dollaro o le tensioni geopolitiche innescate dalla crisi nord-coreana. Anche un peggioramento della situazione europea, con la possibile ingovernabilità della Germania, la crisi catalana in Spagna e le elezioni in Italia, non sarebbe un elemento secondario nella ripresa dell’oro. Resta il fatto, però, che oggi un rialzo forte di questa commodity non è all’ordine del giorno.
Miglioramento dei costi delle miniere. In mezzo a questi fattori negativi c’è un indubbio elemento positivo: le società minerarie, che avevano lanciato enormi piani nel periodo in cui l’oro sfiorava quota 2.000 dollari all’oncia, oggi hanno tagliato spese e investimenti e stanno nettamente migliorando la produttività degli impianti e la redditività aziendale. In pratica l’intero sistema è in grado di trarre profitti anche con le quotazioni della commodity sotto 1.200 dollari.
Conclusione. In una fase in cui il metallo giallo sta tornando al centro dell’attenzione, non è affatto detto che investire sulle società che lo estraggono sia un buon affare. Gli elementi che condizionano il mercato della materia prima e il mercato azionario delle società minerarie possono essere molto diversi e ampiamente decorrelati tra loro. Attualmente nel settore c’è una certa aria di ottimismo e, dopo un periodo abbastanza duro, molti operatori pensano che sia venuto il momento di puntare sui fondi auriferi. Ma certamente le incognite sono tante.