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Non c’è rendimento senza rischio
Chi si avvicina agli investimenti finanziari lo fa perché attratto dai rendimenti ma spesso non considera un elemento che si muove di pari passo, e cioè il rischio, rappresentato dalla maggiore volatilità.
Le tipologie di investimento presenti sui mercati sono caratterizzate da vari livelli di rischio e di rendimento atteso. Tuttavia, almeno in teoria, conservano una caratterizzazione di fondo: i titoli che inglobano un maggior rendimento atteso dovrebbero essere accompagnati da un rischio più elevato. Questo significa che un investitore che opta per la sottoscrizione di strumenti finanziari con maggior rendimento atteso deve essere pronto a sopportare un livello maggiore di rischio. In finanza ‘nessun pasto è gratis’. Vale a dire che è potenzialmente possibile sperare di avere un alto rendimento dai propri investimenti soltanto se si è disposti ad accettare quote crescenti di rischio. Questa relazione può essere sintetizzata nella parola premio: più sono disposto a mettere a rischio il mio capitale, per più tempo, più dovrà essermi riconosciuto un premio per aver sopportato tutto questo.
Il rischio viene misurato come la volatilità del prezzo di un’attività finanziaria, e cioè l’intervallo entro cui il suo prezzo solitamente oscilla.
Quando si parla di propensione al rischio da parte di un investitore, invece, si fa riferimento alla capacità di sopportare le oscillazioni dell’investimento nel corso del tempo. Quanto più siamo propensi al rischio, tanto più saremo disposti a tollerare gli alti e bassi sul valore dei nostri investimenti.
I risparmiatori tendono spesso a dubitare di poter investire seguendo un’ottica di lungo termine. Nella realtà, l’adozione di strategie basate sul lungo termine –dieci, venti o più anni- assume una rilevanza di primo piano per la gestione del rapporto rischio/rendimento e per i risultati potenzialmente ottenibili. Uno degli errori più gravi compiuti dalle famiglie è la sottovalutazione del fattore tempo. La variabile tempo rappresenta l’arma in più per difendersi dal rischio.
Le statistiche mostrano chiaramente che quanto più lungo è il tempo in cui si sta investiti in Borsa, tanto meno è importante il timing (momento in cui si investe). Se un investitore conta di rimanere in Borsa per solo un anno, allora quando investire è molto importante. Pensate ad un soggetto che abbia investito a settembre 2008, prima del crollo dei mercati, ed un altro che abbia investito a marzo 2009, ai minimi dei mercati. Dopo 12 mesi, la performance dei due investitori sarebbe ben diversa. Dopo 5 anni, la differenza sarebbe stata ancora notevole, ma già meno importante. Attualmente, l'investitore sarebbe tornato in territorio positivo.
Questo vuol dire che, a volte, aspettare perché si ha “paura” di quello che potrebbe succedere può portare a risultati peggiori nel lungo termine rispetto all’acquisto immediato. Anche se dopo un anno si è perso quasi il 30% per via di uno storno rilevante. Questo perché mentre l’investitore che aspetta non guadagna nulla o quasi (potrebbe comunque ottenere gli interessi sui bond o sulla liquidità che comunque è qualcosa), l’altro intanto incassa i dividendi e in caso di storno del mercato li potrà reinvestire a prezzi più bassi. Inoltre, attendere non garantisce affatto di comprare a prezzi più bassi.