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Petrolio, in una fase cruciale
Uno dei mercati finanziari che si sono mossi di più nelle ultime settimane è stato il petrolio, che aveva fatto sperare ai produttori che fosse in atto finalmente un vero rally delle quotazioni. Prendiamo il Brent, che è la qualità di riferimento per l’Europa. A metà giornata in Europa il 4 ottobre era a quota 55,80 al barile: solamente il 26 settembre era arrivato a superare 59, che rappresentava il massimo degli ultimi due anni, e aveva testato l’importante resistenza di 60. Una volta fallito il tentativo, è sceso di oltre 3 dollari in pochissimi giorni. Non molto diversamente si è comportato il greggio nella versione Wti che è di fatto il riferimento per il mercato americano: dopo avere testato il massimo relativo a 52,20 il 25 settembre, è oggi sceso a quota 50,31, andando a ridosso così del supporto di 50, che ha un valore psicologico abbastanza importante.
In realtà negli stessi giorni di fine settembre-inizio ottobre il dollaro ha guadagnato sull’euro, passando da quota 1,19 circa agli attuali 1,1768: in pratica per un investitore europeo, visto che il petrolio viene quotato nella divisa Usa, la perdita è stata sensibilmente minore.
Ma al di là di questi va e vieni che stanno caratterizzando questa fondamentale materia prima, il greggio in questo periodo si trova in un momento cruciale per diversi motivi.
Quota 60. Secondo quasi tutti gli analisti del settore una stabilizzazione a quota 60 dollari al barile per il Brent darebbe una notevole tranquillità a quasi tutti i produttori, che nella larghissima maggioranza dei casi estraggono a costi più bassi, e, tutto sommato, anche agli acquirenti, visto che si tratta di un livello non particolarmente alto, che non inciderebbe in maniera significativa sui costi delle industrie. Spostarsi sopra 60-65 comporterebbe uno sbilanciamento a favore dei paesi estrattori, mentre sotto 50 significherebbe mettere in difficoltà molte aziende di estrazione.
Va rilevato anche il fatto che questa materia prima energetica, quando ha buoni livelli di prezzo, ha riflessi positivi anche nei paesi occidentali più tradizionali, come l’Europa, che di fatto sono puri consumatori. L’incremento dei guadagni delle società petrolifere in aree dove questa commodity ha un valore economico fondamentale significa alzare il livello di vita delle popolazioni locali, pur con molte distorsioni, e aumentare le vendite di beni per l’intero pianeta.
Un indice della crescita planetaria. Al di là dei vantaggi dei petrolieri, il fatto che l’oro nero non scenda sotto certi livelli rappresenta un indice molto preciso dell’andamento della crescita globale. Se nel mondo il Pil aumenta, si produce di più e si incrementano i consumi: di conseguenza i corsi del barile salgono, perché si consuma più energia. Avviene ovviamente il contrario se il prezzo scende.
Altri elementi. La quotazione del petrolio in realtà è condizionata anche da moltissimi altri elementi, molti dei quali di carattere geopolitico. La formazione di quantitativi di stock, il taglio all’estrazione giornaliera da parte dell’Opec, l’organizzazione dei paesi esportatori guidata dall’Arabia Saudita, l’incremento della produzione americana dallo scisto, le tensioni politiche nelle aree di produzione e più recentemente i problemi in Kurdistan sono tutti fattori che incidono sul prezzo di mercato.
Conclusione. A questo punto per un investitore il prezzo del petrolio è importante sotto due punti di vista. Da una parte c’è l’opportunità di puntare direttamente sul rialzo o sul ribasso della materia prima, con la possibilità di ottenere guadagni (ma anche perdite) di un certo rilievo. Dall’altra il petrolio alto o basso influenza un’enormità di altri asset. Vedremo in ognuna delle due strategie come si può muovere un investitore.