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Seduti su una montagna di debito
Centotrentacinque trilioni di dollari: è questo l'ammontare a fine settembre del debito complessivo, generato da famiglie, aziende non finanziarie e settore pubblico, nelle economie del G-20, il gruppo che in qualche maniera ha sostituito il G-7 delle nazioni con il Pil complessivo più elevato. Questo valore ammonta a circa il 260% del prodotto interno lordo dell’intero gruppo di paesi. Si tratta ovviamente di una montagna di soldi, addirittura difficilmente concepibile.
Questa cifra è tra l'altro parecchio aumentata negli ultimi anni, secondo il principio che il sistema migliore per risolvere una crisi debitoria è generare ulteriore debito. Infatti la soglia di 100 trilioni è stata superata solo a cavallo fra il 2010 e il 2011, mentre allo scoppio del disastro nel 2008 si era intorno a 80. Il limite di 40 poi fu superato nel 1996: in pratica ci sono voluti 12 anni per raddoppiare l'ammontare totale di debito. Ciò equivale a un Cagr di qualche punto base inferiore al 6%. Lo stesso passo, con addirittura un filo di accelerazione, è stato mantenuto nei nove anni successivi.
Va detto che nel frattempo, comunque, parecchie cose sono cambiate. Innanzitutto il tasso di crescita del Pil complessivo a livello mondiale è calato parecchio: fra il 2008 e il 1996 esso era stato sempre sopra il 4%, a parte i due anni della crisi delle dot.com (2001-2002). Nel quinquennio che va dall'inizio del 2012 alla fine del 2016 esso invece è sempre stato inferiore al 3% e, per quanto indubbiamente il 2017 abbia portato buone notizie, è difficile che comunque in futuro ci si schioderà più di tanto dai dati attuali.
Inoltre vale la pena andare a osservare l'andamento del Pil nominale globale in dollari, di cui il G-20 costituisce una ragionevole proxy, nel periodo preso in esame. Fra il 1996 e il 2008 esso è passato da 31,51 trilioni di dollari a 63,39. Possiamo dire in generale che in tale fase la crescita mondiale è stata più o meno in linea con la creazione di nuove passività finanziarie. Dal 2008 al 2016 si è passati da 63,39 a 75,54 trilioni. Non ci vuole un genio della matematica per capire che non solo il debito è aumentato, ma che la sua produttività in termini di contributo marginale al Pil, già non eccezionale durante il decennio d'oro a cavallo fra la seconda parte dei ‘90 e la prima dei 2000, è scemata fino a raggiungere livelli preoccupanti.
A questo dato ne aggiungiamo un altro, questa volta locale, riguardante il Regno Unito. Questa nazione è stata comunque una delle più brillanti dal punto di vista economico nell'alveo europeo nell'ultimo ventennio, con una maggiore propensione all'inflazione e una più elevata vivacità demografica rispetto a realtà come Italia e Germania. Orbene in Gran Bretagna il costo unitario del lavoro (in mancanza di shock esogeni provenienti dalle materie prime è la vera fonte di inflazione) è cresciuto cumulativamente in termini nominali del 16% dal 2008 a oggi, un valore migliore rispetto a tante altre realtà, ma misero rispetto alla media storica nazionale e rispetto al già modesto tasso di inflazione cumulato nello stesso periodo (+25%).
Che cosa si vuole dire con queste cifre? In parte è un benvenuto e un augurio di buon lavoro al nuovo presidente della Federal Reserve Jerome Powell, rammentandogli le dimensioni della montagna di debiti che andrà a supervisionare, dall'altra vale la pena rassicurare gli investitori, soprattutto in reddito fisso. Con un trend di questo genere è assolutamente impossibile, anzi è impensabile che i banchieri centrali di tutto il mondo possano schiodarsi in maniera significativa dalle politiche di questi anni. Oggi tutto il pianeta o quasi è un immenso Giappone (il paese più indebitato) e ciò permette di avere ancora qualche occasione di investimento nel variegato universo del reddito fisso.