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L’ottimismo imperversa, ma vale la pena fare un tuffo nel passato
Il 19 ottobre del 1987 furono vendute 600 milioni di azioni. Solo in un’altra occasione la Borsa Usa era incappata in un crollo giornaliero più intenso: lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando il Dow Jones lasciò sul terreno il 24,39%
Il premio Nobel per l’economia 2017, Richard H. Thaler, ha recentemente espresso il suo nervosismo per i nuovi record storici della Borsa Usa che, a detta dell’economista, non sono stati accompagnati da risultati tali da ratificarne la bontà. ‘Non so voi ma io sono piuttosto nervoso, e sembra che quando i mercati sono nervosi siano più propensi a spaventarsi per poco, anche se per ora sembra che nulla sia in grado di produrre tale spavento’, ha affermato il neo Nobel in un’intervista rilasciata ai media Usa.
‘Sembra che stiamo vivendo una delle fasi più incerte degli ultimi anni e i mercati finanziari si godono la siesta. Ammetto che non riesco a capire’, ha sostenuto Thaler. Il Nobel ha sottolineato che le azioni sono a suo giudizio care e che il ratio P/e –tenendo conto dei cicli- si posiziona su livelli di poco inferiori a quelli che hanno preceduto lo scoppio della bolla del Nasdaq e il crash del 1929.
Ma non sono solo i confronti storici e ciclici a preoccupare. Le tensioni politiche tra Usa e Corea del Nord, la Brexit e la bolla immobiliare in Cina –considerata insostenibile da molti osservatori e dallo stesso governo di Pechino- sono fattori che potrebbero essere in grado di scatenare una fase difficile. I listini del Vecchio Continente hanno beneficiato del corposo quantitative easing messo a punto dalla Banca Centrale Europea, ma cosa potrebbe accadere quando Draghi deciderà di alzare il costo del denaro?
Per gli osservatori più ottimisti, le Borse scontano già questi rischi e le attuali valutazioni sarebbero supportare dalla ripartenza della crescita economica a livello planetario e dalle presenza di livelli di inflazione sotto controllo (un mix molto favorevole alla rivalutazione delle quotazioni azionarie). Secondo questi analisti, l’intervento della Fed e della Bce sui volumi di titoli acquistati sarà graduale e tale da non compromettere il miglioramento dei fondamentali macroeconomici e le quotazioni azionarie.
Anche se il confronto con la situazione del 1987 appare inappropriato, la ciclicità dei mercati impone domandarsi a che punto sono i listini a distanza di 30 anni da quel lunedì nero. L’anniversario di quella giornata arriva in un periodo caratterizzato da forti contraddizioni: da un lato la presenza di rischi e incertezze su numerosi fronti (tensioni internazionali, prossimi cambiamenti nella politica monetaria, minore liquidità immessa dalle banche centrali nei mercati),; dall’altro la continua crescita delle quotazioni azionarie, in particolare nel mercato statunitense.
Gli osservatori più pessimisti credono che il rischio per i mercati si trovi proprio in questa continua rivalutazione delle Borse. L’indice Dow Jones Industrial ha superato la barriera dei 23.000 punti per la prima volta nella sua storia, supportato dalle rivalutazioni di titoli come Goldman Sachs, Netflix o Johnson&Johnson. La rivalutazione di questo indicatore ammonta al 28% negli ultimi dodici mesi.