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Wall Street dopo un anno di Trump
Il presidente che ha preso il posto di Obama ha incontrato diverse difficoltà nel far passare le proposte della campagna elettorale al Congresso, facendo nascere dubbi sul recente rally nell’azionario.
Dopo il 9 novembre 2016, il mercato azionario statunitense è cresciuto del 22,1%. L’indice S&P 500 ha toccato i massimi storici lo scorso 27 ottobre, a 2.581,07 punti. Questa fase non è stata positiva solo per gli Usa, dato che i listini azionari globali sono saliti del 21,2% nell’ultimo anno, secondo i dati dell’MSCI World Index, anche questi ai massimi storici. I mercati sono infatti nel mezzo di un rally iniziato 9 anni fa: dal minimo storico registrato a marzo 2009, lo S&P 500 è cresciuto del 281%, con un aumento medio annuale del 18%.
I titoli azionari si sono ripresi dalla crisi finanziaria globale e continuano a beneficiare dalle politiche monetarie accomodanti e dei bassi tassi di interesse. Il ritmo di crescita maggiore è stato registrato subito dopo le elezioni, grazie al cosiddetto Trump Trade – la speranza nei tagli fiscali, nelle politiche a sostegno della spesa, come nel settore delle infrastrutture, e nella generazione di pressione inflattiva, che può rendere i titoli azionari più attraenti.
I titoli nel settore finanziario, come le banche e le assicurazioni, sarebbero i maggiori beneficiari di una deregolamentazione finanziaria e sono infatti cresciuti del 35,5% negli ultimi 12 mesi. Anche le azioni nel settore industriale, imprese edili incluse, e quelle del settore dei materiali sono aumentate rispettivamente del 24,1% e del 26,4%.
La promessa di Trump di ridurre le tasse e introdurre una deregolamentazione ha impattato sui mercati Usa, sebbene ci siano timori legati al fatto che i tagli fiscali potrebbero causare il surriscaldamento dell’economia statunitense. Spesso pensiamo agli Stati Uniti come a una delle economie più dinamiche e innovative del mondo, può sorprendere quindi sapere che gli Stati Uniti hanno uno dei livelli più alti di tassazione sulle società al 35%. Ciò è in parte dovuto alla natura della politica statunitense negli ultimi decenni, che ha reso difficile far passare il taglio delle tasse sulle società al Congresso in un momento in cui altri membri dell’OEDC stavano riducendo i loro tassi.
Se guidata bene, l’amministrazione Trump potrebbe essere in grado di costruire un consenso per migliorare la competitività della tassa sulle società statunitensi tagliando le aliquote. Attualmente le probabilità sono leggermente oltre il 50% che il congresso abbia successo nel far passare la riforma fiscale portando l'aliquota di imposta sulle società al 20%. In questo caso, molte delle aziende che sono maggiormente focalizzate sul territorio nazionale – e che si sono comportate meglio immediatamente dopo le elezioni – potrebbero guidare il mercato.
Poiché il processo politico è difficile da prevedere e nel 2016 ci ha ricordato che può offrire sorprese, un approccio equilibrato alla costruzione del portafoglio sarà fondamentale per gli investitori per navigare le condizioni di mercato in corso.
Sul versante obbligazionario, i prezzi dei Treasury sono scesi sensibilmente nell’ultimo anno. Le motivazioni sono simili a quelle che hanno indirizzato la solida performance dei titoli azionari, vale a dire l’attesa per un aumento della spesa da parte dell’amministrazione Trump, con effetti inflazionistici.
Prezzi e rendimenti delle obbligazioni sono inversamente correlati. Quindi, mentre i prezzi sono scesi dello 0,55% nel corso dell’ultimo anno per i Treasury a 10 anni, il rendimento è aumentato, passando dall’1,85% al 2,37%.