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Nicchie di high yield e null'altro
Di recente avevamo visto che la montagna di debito esistente sulla Terra, il cui rendimento marginale in termini di contributo alla crescita del Pil sta calando sempre di più, rende praticamente impossibile normalizzare più di tanto le politiche monetarie mondiali. Avevamo anche visto che si è scatenata una vera e propria caccia al rendimento da parte degli investitori istituzionali, che non possono abbandonare in massa l'obbligazionario per buttarsi su asset class più rischiose: molti stanno affrontando seri problemi, cui l'industria dell'asset management sta rispondendo in maniera piuttosto creativa, per ottenere combinazioni di rendimento e volatilità che non siano troppo da brivido.
Ma, rimanendo nell'ambito del reddito fisso, che cosa esattamente si può comprare? Non più di tanto: letteralmente c’è solo qualche nicchia in angoli del reddito fisso globale, che comunque hanno visto restringere gli spread creditizi in maniera notevole.
Partiamo dall'Europa. In termini di yield nominale non vi è nulla tuttora che paghi meglio dei coco, obbligazioni bancarie subordinate. Essi infatti attualmente danno un rendimento intorno al 5%, con un rating medio da parte di Moody's di BB2. Gli high yield statunitensi di società non finanziarie con un rating equivalente o anche più basso (la fascia di Standard&Poor's BB e B) sono al 4,8%. È vero che in generale le emissioni corporate made in Usa sotto il livello di investment grade quotano in generale non molto sotto la soglia del 6%, ma questo valore è distorto dalla categoria CCC.
I coco europei hanno il vantaggio di essere strumenti emessi da istituzioni, le banche europee, in piena fase di deleveraging. Se prendiamo alcune delle aziende di credito del Vecchio continente sotto la diretta supervisione della Bce, come Intesa e Unicredit, vediamo che la soglia di capitale tier 1 fissata per loro da Francoforte (rispettivamente il 7,25% e l'8,75% delle attività pesate secondo il loro rischio) è ampiamente di sicurezza con il 12,8% e l'11%.
Valori simili si trovano per altri colossi direttamente sotto l'occhio vigile delle autorità monetarie dell'Eurozona. In pratica oggi il rischio di sospensione delle cedole o di decurtazione o trasformazione del bond in equity è alquanto marginale. Inoltre se si aggiunge il quadro di volatilità dell'azionario continentale, appare molto remota l'eventualità di vedere all'opera la famigerata convessità negativa di questi strumenti. I quali peraltro, visto che la loro cedola dipende dal cash flow generato da banche sensibili al margine di interesse, sono forse gli unici strumenti al mondo con una duration modificata negativa.
I coco non sono comunque l'unico segmento dei bond finanziari che offrono qualcosa di definibile come un rendimento reale positivo. Ad esempio, tra gli emergenti le emissioni di banche e assicurazioni in dollari nel sottogruppo Eemea (Eastern Europe, Middle East, Africa) permettono di incassare circa il 4,2%. A tale cifra vanno sottratte le spese di hedging del rischio valutario, qualora non si desideri averlo in portafoglio.
Poi in Usa vi è un vasto mercato di oltre un trilione di dollari di capitalizzazione, a fronte dei circa 150 miliardi di euro dei coco, un dato da tenere presente soprattutto per la gestione delle situazioni di crisi: si tratta dei corporate non finanziari, giusto per diversificare, che pagano rendimenti decenti. Lo svantaggio, oltre alla questione dollaro e alla Fed, è che negli ultimi anni si è verificato un certo aumento del grado di leva delle aziende statunitensi.
Questi sono solo alcuni esempi di asset class sulle quali si può investire: come si può notare, però non vi è assolutamente nulla nell'ambito dell'investment grade. Senz'altro non è una situazione facile.