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L’incognita Usd
E’ nei confronti dell’euro che si è verificata la svalutazione maggiore. Il deprezzamento del dollaro si è registrato nonostante l’incremento del differenziale dei tassi di interesse, che avrebbe dovuto supportare la valuta Usa
Una parte di gestori di fondi crede che il motivo che si cela dietro questa anomalia sia tanto ciclico quanto strutturale. Dall’inizio del 2017, la ripresa della crescita globale è diventata sincronizzata, trainata dal commercio mondiale, dalla maggiore liquidità e dal calo dei tassi d’inflazione. In questa fase di sviluppo globale è normale che il dollaro s’indebolisca, visto che i flussi di scambi e gli investitori si rivolgono verso nuove aree, caratterizzate da un’attività economica in crescita. I mercati emergenti, sia azionari sia obbligazionari, sono stati un chiaro ricettore di questi flussi, che hanno permesso il rafforzamento delle valute locali (come ad esempio il real brasiliano) rispetto al dollaro.
Dalla fine del sistema di Bretton Woods del 1971, il dollaro ha ricoperto il ruolo di valuta di riserva cruciale e di bene rifugio. La percezione è che stiamo assistendo a un allontanamento strutturale dal dollaro, con focus su valute come l’euro e addirittura lo yuan cinese da quando questo è entrato a far parte dei Dsp (Diritti speciali di prelievo) previsti dal Fondo Monetario Internazionale. Come minimo, ora che le elezioni governative di Francia e Germania hanno permesso all’Eurozona di lasciarsi alle spalle il rischio politico e che è stata fissata una solida riforma europea, è lecito attendersi che i gestori delle riserve in valute estere aumentino la propria posizione underweight sull’euro. L’incremento delle politiche protezionistiche negli Stati Uniti dovrebbe sostenere l’aumento di scambi e di investimenti diretti esteri provenienti dalla Cina, come anche una maggiore rilevanza per lo yuan.
Per quanto riguarda il breve termine, certamente potrebbero essere fatti dei passi avanti in termini di riforme fiscali negli Stati Uniti e le attività manifatturiere ed edili del post uragano Harvey potrebbero risollevare la fiducia degli investitori e far incrementare i flussi in dollaro. Per questo sono in molti a stimare un periodo di consolidamento per la valuta statunitense. Resta ancora da vedere se la linea potenzialmente più morbida del nuovo governatore della Fed Powell, attraverso il rallentamento di ulteriori irrigidimenti dei tassi da parte della Fed, potrebbe ridurre l’ampliamento del differenziale dei tassi di interesse verso l’Europa e il resto del mondo. Qualora fosse così, l’attuale forza del dollaro non durerebbe a lungo.
L’evoluzione attesa del differenziale di tassi e le aspettative riguardanti l’andamento relativo delle politiche monetarie, unitamente all’andamento dei saldi di partite correnti, saranno i principali driver dell’andamento del cambio. L’idea di un graduale rafforzamento dell’euro si giustifica da questo punto di vista con la constatazione che, pur rimanendo in assoluto la Bce decisamente più accomodante della Fed, il sentiero delle politiche monetarie non è più così opposto come negli anni precedenti: anche la Banca centrale europea è comunque entrata nella fase di graduale riduzione degli stimoli.
Valori di Eur/Usd non lontani dalla parità sono storicamente eccezionali e si giustificano tendenzialmente con un comportamento antitetico delle Banche centrali per cui il differenziale dei tassi, pur rimanendo favorevole alla divisa statunitense, difficilmente potrà ampliarsi di molto oltre le aspettative. Anche l’evoluzione dei deficit di partite correnti sembra infine giocare a favore della divisa comune.