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Il dilemma del value europeo
A oggi l’indice Msci Europe scambia al livello più alto dallo scorso febbraio ed è in rialzo di qualche decimale dall'inizio dell'anno. La generale ripresa della propensione al rischio fa ben sperare anche per l'azionario europeo, che notoriamente non ha fornito moltissime soddisfazioni agli investitori nell'ultimo decennio, quanto meno se ci limitiamo alle large cap.
Per certi versi, però, la situazione attuale è inspiegabile: passi il fatto che le quotazioni siano state danneggiate dalla massiccia presenza di banche, passi che nel Vecchio continente è difficile trovare temi growth stile Amazon o Tencent, si conceda pure che, data la severità dell'ultima recessione europea, ci voglia un po' per riprendere una significativa correlazione positiva fra dati macro e performance borsistiche. Però allo stato attuale l'equity europeo per certi versi presenta caratteristiche sconcertanti: l'economia dell'Eurozona viaggia ritmi superiori al +2% di incremento del Pil, il Regno Unito ha rallentato dopo un quadriennio di forte ripresa iniziato nel secondo trimestre del 2013, ma comunque finora la prospettiva della Brexit non ha portato certo l'Armageddon, il Centro-Est europeo è in pieno boom dopo una ristrutturazione molto dura nei primi anni 10, Spagna e Portogallo sono stati reintegrati a pieno titolo fra le economie sviluppate, mentre un minimo di vitalità è riuscita a mostrarla pure l'Italia.
Eppure di fronte di questo ben di Dio ci troviamo con multipli francamente risibili, dato il paradigma di enorme equity risk premium in cui ci si trova a operare. Infatti il P/E forward dell’Msci Europe attualmente è intorno a 13,9, praticamente pari al livello minimo toccato durante il bear market del 2015, a fronte tra l'altro di una media dal 1990 pari a 14,4. Persino il Cape di questo indice, attualmente pari a 17,7 (si prega paragonarlo con il 31 statunitense!), è al di sotto della media dello stesso orizzonte temporale (intorno a 19,5). Il dividend yield poi è 3,5%, un valore che non ha praticamente pari fra i mercati equity minimamente rilevanti. Su telecom, energia, banche (ok, non esattamente i più eccitanti temi growth del momento) è molto facile spuntare dividendi pari al 4-5% per nomi dalla buona solidità patrimoniale.
Per tutto l'anno passato e la prima parte di quest'anno a essere sulla cresta dell’onda sono stati soprattutto alcuni segmenti dei listini americani e asiatici, tecnologia in particolar modo, mentre è stato mostrato scetticismo sull'Europa, a parte Spagna e Italia. Inoltre da mesi si sprecano i consigli di abbassare notevolmente la leva del portafoglio, visto il panorama fatto di progressiva incertezza macro man mano che ci si avvicina a 2019. In questo contesto grande entusiasmo per il value europeo non è stato mostrato da molti, ma, detto ciò, vale la pena tentare di capire in quale situazione siamo attualmente. Infatti dopo un primo trimestre disastroso, in cui l’Msci Europe ha perso il 4,2%, gli ultimi giorni hanno visto uno scatto di reni che hanno migliorato, e non poco, i rendimenti relativi europei rispetto ad altre piazze.
In un mondo attualmente più scettico riguardo i colossi tecnologici e alla ricerca di income e di quotazioni a livelli decorosi vedremo finalmente una svolta? La risposta merita un’analisi approfondita che verrà fornita nei prossimi giorni: ciò che anticipiamo è che vi sono diversi elementi contraddittori che vedono favorita l'Europa soprattutto in uno scenario per così dire intermedio, caratterizzato da un'economia sostanzialmente identica a quella che si sta sviluppando adesso.